"Cara Unione,

una mia parente lavora come Medico Rianimatrice all'ospedale Sacco a Milano. Come tutti gli operatori di quell'ospedale, lavora con turni faticosi e lunghi. Sta bene come anche suo figlio e suo marito da cui ritorna a fine giornata. Stanno continuando a lavorare anche tutti gli operatori sanitari degli ospedali italiani, come anche tutte le persone, i cittadini italiani che con il loro lavoro ci fanno trovare gli alimenti, i farmaci e ci proteggono per permetterci di vivere.

Questa infezione continua a mietere delle vittime, malgrado tutti gli sforzi fatti fino ad ora. Mi chiedo allora se stiamo facendo degli errori nella strategia messa in atto per contrastare la diffusione di questa infezione.

Per questo motivo mi permetto di fare delle considerazioni, nella speranza si apra una discussione "costruttiva".

1)La stragrande maggioranza dei morti sono anziani, con una età media di 80 anni o più giovani ma con altre patologie, pari a circa il 90% di tutti i ricoverati e deceduti. Ciò si spiega col fatto che queste patologie concomitanti (ipertensione, diabete, cardiopatie, disturbi polmonari cronici, etc. etc) li rende piú fragili.

2) I più giovani, senza malattie intercorrenti, età 0-65 anni, si ammalano ma la mortalità è bassa, paragonabile a quella di una influenza se pure molto aggressiva.

3) Fra la popolazione che ha nel suo organismo il virus, solamente il 30-40% svilupperà la malattia con sintomi.

4) Quindi il 60-70 % dei portatori di virus vive non sapendo di esserlo, quindi è un infettivo inconsapevole perché senza sintomi, cioè non malato.

In sintesi, attualmente abbiamo circa 100mila malati e oltre 13mila decessi (dati che si modificano ogni giorno), quindi esiste una popolazione di oltre 200mila persone che vive con il virus senza saperlo e senza sintomi ma con capacità di infettare gli altri.

Fatta questa premessa, noi prima di tutto dovremmo proteggere la fascia di popolazione più a rischio, cioè gli over 65 anni e i pazienti "giovani" con malattie varie. Proteggerli significa farli vivere in ambienti senza il contatto diretto con la popolazione "apparentemente non infetta".

Nel caso in cui gli over 65 e i "giovani" malati non vivano da soli ma convivono con parenti "giovani", una soluzione può essere quella di isolarli totalmente ad esempio in stanze d'albergo. I servizi sociali e/o i parenti potranno star loro "vicino" portando loro quanto serve ma senza contatti fisici.

Con le tecnologie moderne che tutti oramai abbiamo (telefono/VIDEO) potremmo farli sentire meno soli. Proteggendo questa fascia di età avremmo più posti letto disponibili in ospedale. Con meno malati Covid-19, potremo tenere aperte con minori sensi di colpa i servizi e le produzioni indispensabili. Infatti se questi operatori si dovessero ammalare, troverebbero un numero sufficiente di letti disponibili per essere curati, cosa che ora non è assolutamente garantita, in quanto attualmente gran parte dei letti sono occupati dai pazienti over 65 anni, cioè da quella popolazione che più di altri si ammala e muore.

È ovvio che quanto proposto ha delle implicazioni organizzative estremamente complesse. Mantenere in "ambienti protetti" gli anziani ed i malati in genere non è semplice. Ma forse sono procedure meno complesse di quanto si stia facendo ora, i cui risultati non sono entusiasmanti.

In questo modo:

1) avremo meno morti: ricordiamo che attualmente i morti sono per il 90% i "vecchi" o i "giovani" con altre patologie aggiunte.

2)non metteremo in ginocchio l'economia che invece sarà causa di "morti economici" al momento non valutabili.

3) se diminuiscono i ricoveri degli over 65 anni, avremo più letti per curare i malati di Covid-19 più giovani e soprattutto malati "normali" (tumori, infarti, emorragie cerebrali, ect) che invece sono in seconda linea, con una mortalità al momento non valutata".

Antonio Dessanti

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