"Imparai babbu a fai fillus". Pochi proverbi si adattano come questo alla fase storica che viviamo. Quella in cui sui social chiunque si sente autorizzato a pontificare di virus più di un virologo, di economia più di un economista, di ingegneria più di un ingegnere. Insegnare al padre come si fanno i figli, dare consigli gratuiti a una persona esperta in materia, questo significa uno dei proverbi più diffusi in un'Isola dove si utilizzano spesso la scorciatoia e l'efficacia dei detti popolari per descrivere situazioni di vario genere. Per assonanza si potrebbe ben dire che "A sciacquai sa conca a su burriccu, si perdidi abba, tempu e saboni" (a lavare la testa all'asino si perde acqua, tempo e sapone). Insomma, è inutile spiegare qualcosa a chi pensa di sapere tutto e non è disposto ad andare oltre i suoi pregiudizi. E su questo fronte vale anche un altro detto, più diffuso nel nuorese: "Abba in su pistone pista, abba est, et abba s'istat" (pestare l'acqua nel mortaio significa affaticarsi inutilmente a persuadere il caparbio e l'ostinato). Un'impresa difficile e inutile come "Acciappai s'anguidda po sa coa" (acchiappare l'anguilla per la coda). A questi tempi difficili si adatta anche un altro detto, "Tenni su culu in terra" ("avere il sedere per terra"), in pratica essere ridotti sul lastrico, come i tanti sardi che hanno perso il lavoro o hanno dovuto chiudere la propria azienda, oberati dai debiti, a causa della pandemia. Un detto che fa il paio con "Accabbai cumenti in maccarronis senz'e casu" (rimanere come i maccheroni senza formaggio) come accade quando, per disgrazia o malasorte, si rimane con niente. E del resto "A caddu lanzu, musca meda" (al cavallo magro molte mosche), insomma al povero vanno le disgrazie. Sono lontani i tempi di espansione economica in cui capitava più spesso di incontrare un "Priogu arresuscitau", una persona che ostenta benessere e ricchezza ma è evidente dagli atteggiamenti che arriva dalla povertà e non possiede i modi di chi è cresciuto nel benessere. Certo, gli ottimisti diranno sempre che "A su male su remediu" (ogni male ha il suo rimedio) e sarà anche vero ma quel rimedio non sempre è facile da trovare altrimenti vivremmo tutti felici. Ci si può sempre consolare, almeno quando siamo noi a sbagliare, pensando che "Chie no at faddidu in sa vida no est ancora naschidu" (non e' ancora nato chi nella vita non ha mai sbagliato). Il pessimista tenderà invece a dire "Si mi pongiu a fai cappeddus, nascinti is pippius senz'e conca" (se mi metto a costruire cappelli, i bambini nascono senza testa), per dire, insomma, che si è sfortunati soprattutto nelle intraprese. E a proposito di male, chi ci fa un torto così come un politico che perde le elezioni, può sempre essere "Bogau a son'e corru" mandato via in malo modo al suono del corno. Interessante ricordare che l'origine di questo detto è legata alla figura del banditore che anticamente suonava il corno quando qualcuno aveva commesso qualcosa che ne rendesse necessario l'allontanamento da un luogo. Può capitare, però, che qualcuno venga cacciato per colpe non sue e per questo il detto "Corrudu e appaliau" (cornuto e deriso o bastonato) resta tra più pronunciati nell'Isola a tutte le latitudini. In questo caso è comprensibile, per la vittima dell'ingiustizia, "Crepai de feli" (crepare dalla rabbia fino a farsi scoppiare la bile) magari per avere "Postu deus po mrexiani" (scambiato Dio con una volpe), cioè essersi fidato di persone che si ritenevano corrette ma si sono rivelate disoneste, astute e false). Persone, insomma, "Falsas che friaxu", false come febbraio, un mese considerato meteorologicamente ambiguo (anhe marzo, del resto). Di queste persone si potrebbe dire anche che "Min'desti calau de is coddus" (mi è sceso dalle spalle), nel senso che ci ha profondamente deluso, oppure che "Non est farra de fai ostia", non è farina per fare ostie. Insomma non è una persona per bene come colui che "Pottada sa lingua chi segat pruppa e ossu" che ha, cioè, una lingua che taglia la carne e le ossa, ossia una persona maldicente. Forse certi atteggiamenti possono essere giustificabili se attuati da qualcuno che si usa definire "Fattu e lassau", fatto e lasciato, un passivo incapace, un buono a nulla, a cui si può sempre dire anche "Gei ses a frori" (già sei a fiore) cioè sei proprio messo male. Un detto che però nel campidano viene utilizzato anche in senso sarcastico, per commentare uno scherzo o una stupidaggine compiuta per sbadataggine. La rottura di un rapporto per qualsiasi ragione, così come la fine di una serata piacevole, possono essere commentati con un classicissimo tra i detti sardi, quasi una filastrocca: "Pira cotta, pira crua, dognunu a domu sua" (pera matura, pera acerba, ognuno a casa sua). Non ha particolari origini e non significa granché ma piace così tanto nel sud dell'Isola da essere, secondo stime molto empiriche, il detto più utilizzato in assoluto.
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