Prendeva la palla e chi s'è visto s'è visto: in un lampo era sotto canestro. Ma il basket non faceva per lei che voleva solo correre. Alle amiche proponeva lunghi giri intorno al palazzo, così per gioco. Finché l'insegnante di Educazione fisica della Tuveri le aveva dato l'indirizzo giusto: viale Diaz. Aveva 14 anni nel 1968 Luisa Marci, nessuno dei sette fratelli l'aveva accompagnata e si era presentata da sola al campo Coni. Pompilio Bargone le aveva detto di girare intorno alla pista. «Dopodichè si era dimenticato di me. Dopo venti giri mi aveva chiesto se fossi stanca». Macchè. E ne aveva fatti altri cinque: dieci chilometri in tutto. Dopo pochi mesi era in gara ai campionati italiani allievi. Ed era la prima volta che prendeva l'aereo. «Non avevo mai visto la neve». Aveva corso con i guanti. Sul pettorale aveva il numero 100 ed era partita per ultima. «Ho vinto». Il bis è arrivato a Grosseto, nell'interregionale. Ed era la prima volta che prendeva la nave: «Cagliari-Civitavecchia con mare forza otto, tutte le altre hanno passato la notte a vomitare. Sono arrivata giusto in tempo, lo starter aveva la pistola in mano, mi sono messa il pettorale in fretta e furia». Com'è finita? Medaglia d'oro.

Tifo da stadio

Era pronta per la pista. E che pista: 16 settembre 1970, il Cagliari aveva lo scudetto sulla maglia e giocava in notturna nella Coppa dei campioni col Sant'Etienne. Stadio Amsicora gremito. «Nell'intervallo ho gareggiato io». Vittoria e record italiano allieve sui mille. «Tifo pazzesco, emozione indescrivibile». Da quel momento è cambiato tutto. «Quando mi vedevano correre al Poetto prima mi prendevano in giro, poi invece mi incitavano, forza Luisa: avevo acquisito una notorietà incredibile». Quindici anni da compiere e un handicap mica da poco: «Al campo Coni maschi e femmine erano separati, i ragazzi si allenavano nei giorni dispari, le ragazze il martedì e il giovedì». Eppure è stato un crescendo: titolo italiano juniores su pista a Torino e maglia azzurra ai Mondiali di cross a Madrid. «Il telegramma con la convocazione lo aveva preso mia madre, era contenta ma preoccupata perché non ero mai stata all'estero, e poi mi diceva che ero troppo magra». In Spagna aveva seguito Arese, Cindoli e Fava in una corsetta. «Per me era normale, a Cagliari mi allenavo spesso con i maschi». Solo che quelli correvano come pazzi. «Non conoscevo la città nè la lingua, non potevo perderli». Insomma, ha faticato più che in gara. «Sei brava, mi hanno detto dopo». In effetti: sette volte in Nazionale, record italiano nei tremila, cinque titoli giovanili, quinta agli assoluti dietro Paola Pigni e Agnese Possamai. Ed è solo la prima parte.

Il cambio

«Sino al 1979 ho gareggiato col Cus Cagliari, poi mi sono iscritta all'Isef ed era un momento di calo. Sono passata all'Ucla di Aldo Medea». Nuova vita. «Nel 1981 la Fiat Sud Lazio mi aveva scritturato insieme a Vivi Podda, Marina Loddo e Iose Dentoni». Scelta azzeccata: «Abbiamo vinto la Coppa Europa di corsa campestre a squadre». Hanno battuto pure il record italiano con la staffetta 4 x 1.500 che a distanza di decenni è ancora primato sardo. Ma non bastava. «Avevo fatto uno dei migliori tempi in Italia nella mezza maratona e nell'ora su pista».

Lo stop

Le Olimpiadi di Seoul del 1988 erano alle porte: «Il professor Barletta, responsabile del mezzofondo azzurro, mi aveva chiamato». Aveva detto no. «Il mio ciclo era concluso». Altri tempi: Federica Pellegrini era appena nata e nessuno immaginava che a 31 anni si potesse vincere un Mondiale, nemmeno nel mezzofondo dove le atlete sono sempre state più longeve delle nuotatrici. Ma Luisa Marci insegnava a Iglesias e per allenarsi si alzava alle sei del mattino. «Ho detto basta». Nel 1983 si è sposata con Franco Marcello, che attualmente allena il velocista Nicola Asuni, quindi sono nati Alessandro e Matteo. «Il primo è manager da Alibaba, il secondo nefrologo a Milano». Entrambi hanno fatto sport ma non agonistico anche se lo spirito competitivo lo hanno nel sangue. «Gliel'ho voluto trasmettere, è importante. La vita non è una gara ma bisogna fare tutto bene e con passione. Ho cercato di veicolare questi valori anche ai miei alunni». Dopo aver insegnato Educazione fisica per tanti anni dal settembre 2018 è in pensione. «Non corro più: sono del parere che a una certa età faccia male alla schiena. Però cammino col cronometro, un chilometro in meno di nove minuti. Mi diverto, e poi faccio pilates: attività fisica per la salute».

Cittadina del mondo

Ha tenuto i contatti con le amiche-avversarie. «Io ho visto il mondo grazie all'atletica» e ha conosciuto realtà diverse. «Nel 1972 a Cagliari allo stadio Sant'Elia c'è stato il Memorial Zauli con atleti provenienti dall'Africa. Io li accompagnavo in giro per la città che non era abituata a vedere persone di colore. Per me è stato bello: lo sport apre le porte e ci fa sentire cittadini del mondo. In quel periodo correvo al Poetto con una ragazza nera abituata sugli altipiani». Intanto studiava: «Mi è sempre piaciuto andare bene a scuola e non fare assenze ingiustificate». Così come trovava avvincente vivere l'ambiente sportivo cagliaritano degli anni Settanta: «Il Cus Cagliari femminile e il Brill del basket si allenavano da noi al campo Coni dove veniva anche il pugile Tonino Puddu. Riva e gli altri rossoblù li incontravo in aereo ma ci vedevamo in campo all'Amsicora: una volta mi è pure arrivata una pallonata di Gigi in testa. Si era precipitato a chiedermi scusa ma la colpa era mia: dovevo stare attenta». Sul volto di Luisa Marci il sorriso non si spegne mai. «Devo molto allo sport, quello che mi ha dato resterà per sempre». Anche per questo ha organizzato un convegno con tante campionesse del passato. Perchè vincere è bellissimo, condividere gioia e valori ancora di più.

Maria Francesca Chiappe
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