L'Asinara è un'isola che ti prende l'anima: bellissima ma che non ti mette allegria. Perché all'Asinara si sono consumati drammi e pestilenze, anche se il posto è soprattutto conosciuto per gli asinelli bianchi, i mufloni, i cinghiali e i panorami che ti lasciano senza fiato, che quando li vedi una volta non li dimenticherai mai più. Dal 1997 è Parco Nazionale, per tanti decenni colonia penale e prigioni. Le più dure e temute d'Italia. In cui si sono intrecciate tante storie: tristi, commoventi e bellissime, tutte da raccontare. Sembrerà strano a dirsi, ma il  calcio all'Asinara ha occupato uno spazio importante. Anzi per i detenuti era proprio l'avvenimento principale e l'attività preferita. Inoltre si disputava il campionato tra le varie diramazioni carcerarie,  nei campi di calcio angusti e in sterrato di Cala d'Oliva, Trabuccato, Campu Perdu e Fornelli. Come giocatori i detenuti, mentre gli agenti di custodia fungevano da arbitro e gli allenatori erano i capi diramazione. Il torneo, che si svolgeva da settembre a giugno, era molto sentito e combattuto. Vincerlo era l'orgoglio per la diramazione."L'atmosfera che si respirava prima delle partite era di grande attesa e partecipazione - spiega l'ex ispettore carcerario Gianmaria Deriu, custode di tanti segreti dell'isola -. L'impegno era massimo e le partite erano sostanzialmente corrette. Ma è ovvio che a volte gli animi si surriscaldavano. Come in ogni campionato o partita a nessuno piaceva perdere". A marzo del 1988 l'avvenimento degli avvenimenti: la partita contro la Torres. Si, quella dei rossoblù di Gianfranco Zola, che di lì a poco avrebbe vinto il campionato di C2. La preparazione all'evento fu elettrica. Calciatori detenuti in subbuglio, e non solo loro: ognuno voleva partecipare. E ogni capo diramazione "tramava" sportivamente per mettere qualcuno dei suoi in più in squadra. L'ingrato compito di selezionatore fu svolto dall'educatore Giampaolo Cassitta, ora egregio scrittore. Il materiale umano non mancava e tra i giocatori c'erano due fuoriclasse, ma con un problema. E non di piccolo conto: erano due ergastolani che appartenevano alla sezione speciale di Fornelli. Quella nota per il 41 bis. Uno era il braccio destro di Renato Vallanzasca (anche lui tra l'altro soggiornò nell'isola), l'altro un killer di fiducia di Renato Cutolo. Quindi non proprio due angioletti, che però all'Asinara cercavano di riscattarsi e che avevano una gran passione per il pallone. Farli partecipare alla gara però non era facile. Ma col direttore infine si raggiunse un compromesso: i due avrebbero solo potuto partecipare alla partita. Nessun pranzo o festeggiamento dopo: rientro immediato in cella. Entrambi i carcerati, con un po' di amarezza, accettarono il compromesso. La partita fu un evento straordinario. A cui la stampa diede il giusto risalto. Non fu un massacro a Campo Perdu: la Torres vinse solo 4-1 e la squadra dell'Asinara fece una grande figura. Il gol degli avversari lo siglò un giovane centravanti 19enne siciliano, ma con alle spalle una serie di reati non da ridere. I due fuoriclasse ergastolani non delusero certo le aspettative e giocarono una gran partita. Quindi, come da accordi, si apprestavano a rientrare in pullman a Fornelli, distante 7-8 chilometri. Il Magistrato se ne accorse e diede l'ordine perentorio "Anche loro devono venire con noi". Ai due vennero quasi le lacrime agli occhi. La carovana di un centinaio di persone si trasferì a Cala d'Oliva per il pranzo. Zola, che anche all'Asinara aveva dimostrato la sua classe, e i suoi compagni erano ben lieti di mischiarsi a coloro che nell'isola stavano soffrendo e scontando lunghe pene."Fu un giorno fantastico ed un'esperienza che porto ancora nel mio cuore - ricorda il sassarese Sergio Pinna, l'ex portiere rossoblù -.  Loro, i detenuti, si impegnarono molto e con noi furono amichevoli e cordiali. Come le guardie carcerarie e tutti gli altri. Io inoltre rividi alcuni detenuti che conoscevo, di Sassari e di Olbia. Ricordo dopo la partita il ricco pranzo e l'atmosfera cameratesca e di grande allegria che si era creata. A fianco a me era seduto un ragazzo della banda Vallanzasca, che mi disse "questo è un posto bellissimo, ma quando esco da qua non ci voglio più tornare". Mi sembra che quel detenuto abbia poi mantenuto la promessa". Poi alla sera per i giocatori e tutto il seguito il ritorno nella terra ferma in traghetto. Per i detenuti altri lunghi giorni tra le sbarre, qualcuno poteva lavorare all'esterno della diramazione, come pastore, agricoltore o aiuto meccanico. A poche miglia il mondo, il progresso che andava avanti. Mentre all'Asinara il tempo si era fermato.
Argentino Tellini                                Nelle prima foto un'immagine della partita, nella seconda l'ingresso squadre in campo, nella terza una partita tra detenuti (foto Tellini)

 

 

 

 

 

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