Arriva spedito, rigorosamente pedalando, sguardo vispo, sorriso sornione tipico di chi sa il fatto suo. E Giuseppe Picciau, uno dei primi Professionisti del ciclismo sardo, per ciò che concerne i pedali continua ad avere la predisposizione tipica del purosangue, oltre che una classe in sella invidiabile. Monserratino doc, nell’ambiente delle corse da tutti chiamato ‘’Pinotto’’, ha nel sangue la passione per il ciclismo che è il marchio di fabbrica della famiglia Picciau: dal papà Antonio, al fratello Mario – ideatore dello storico velodromo  – al piccolo di casa, Pietro, per anni firma di punta de ‘’L’Unione Sarda’’.  Dai tifosi dell’Isola, il pimpante settantatreenne dal fisico atletico e dalla pedalata sempre rotonda,  è stato ribattezzato ‘’il Saronni sardo’’ per la sua completezza e la sua esplosività nel scattare sugli strappi più duri e, ancora oggi, chi lo vede lo ferma per scambiare due chiacchiere ricordando un ciclismo che è inevitabilmente cambiato. Con la sua Colnago Master Light, dalle striature bianche e nere, pedala nei giardini della sua Monserrato, dove ha mosso i primi passi, facendosi spazio a suon di volate perentorie e scatti fulminei, arrivando a disputare una stagione tra i ‘’grandi’’ nel 1973 nella gloriosa Jollj Ceramica di cui il capitano era Giovanni Battaglin vincitore nel 1981 del Giro d’Italia e della Vuelta di Spagna.

Picciau quando ha iniziato a correre?

‘’Avevo 16 anni, adesso i ragazzi cominciano molto prima. Ho iniziato con le categorie giovanili distinguendomi subito, vincendo parecchie gare tra gli Allievi. Poi è arrivato il passaggio tra i Dilettanti, esperienza importantissima che mi ha permesso di confrontarmi con ottimi corridori sia in Sardegna che nello Stivale”.

Quali erano i suoi rivali più insidiosi?

‘’In Sardegna all’epoca i talenti non mancavano, c’era un bel movimento: ricordo con emozione le sfide avvincenti con Giacomino Fois, Gianni Carta, Giuseppe Bratzu e Salvatore Sassu. Giovani determinati che mi hanno dato filo da torcere’’.

Come è arrivato al Professionismo?

“Il mio ultimo anno tra i Dilettanti fu importantissimo e ricco di risultati di valore: su 41 corse disputate ne vinsi 31 tra cui il ‘’Trofeo Cardia’’ a Sinnai gara di livello nazionale. A quel punto Franco Pretti, storico organizzatore della Sassari-Cagliari - fece il mio nome a Marino Fontana direttore sportivo della Jollj Ceramica che mi prese nella sua scuderia’’.

Qual è il ricordo più bello legato a quella stagione?

‘’Ho disputato una sola stagione tra i Professionisti ma è stata intensissima e indimenticabile. Il ricordo più bello è senza dubbio la partecipazione al Giro di Sardegna e, in particolare, la quarta tappa da Nuoro a Olbia’’.

Perché?

“In quell’occasione conobbi il grandissimo Eddy Merckx. Faceva molto freddo, il ritmo non era elevatissimo, ad un certo punto mentre andavamo verso Oliena mi si avvicinò dandomi una pacca sulle spalle, strizzò l’occhio e mi incitò a proseguire con tenacia. A quel punto mi galvanizzai e decisi di attaccare una volta usciti da Oliena: lo feci con una forza interiore fortissima, non sentivo più la fatica. Arrivai a guadagnare quasi tre minuti, per 36 km rimasi in avanscoperta, poi venni ripreso quando ne mancavano circa 20 però riuscì comunque a stare nel gruppo dei migliori. Fu un’emozione grandissima’’.

Cosa pensa del ritiro di Fabio Aru?

“Mi è dispiaciuto tantissimo, Fabio è il migliore di sempre tra i corridori sardi oltre che un ragazzo d’oro, gentilissimo e umile. Rispetto chiaramente la sua scelta, ha attraversato momenti non facili e nei suoi confronti c’è stato un accanimento terribile e, forse, non il dovuto supporto. Sono comunque certo si ritaglierà grandi soddisfazioni anche al di fuori del mondo del ciclismo’’.

 Crede possa esserci un suo erede?

‘’Assolutamente sì, in Sardegna non sono mai mancati i talenti e sono sicuro che altri emergeranno in questi anni. Bisogna però, assolutamente, investire sul ciclismo sardo affinché le nostre promesse varchino il Tirreno e si confrontino con i giovani più forti provenienti da tutta Italia’’.

Quali i talenti da tenere d’occhio?

“Indubbiamente Alessandro Fancellu, di origini sarde, che nel 2018 ha colto uno splendido bronzo nella prova in linea Juniores a Innsbruck e Gabriele Porta che conobbi qualche anno fa in una gara a Quartu, a presentarmelo fu un tecnico di grande esperienza come Salvatore Angelo Attene. Ha qualità importanti, è dotato di una resistenza notevole e questo lo dimostra il suo quattordicesimo posto al Giro d’Italia Under 23. Sono sicuro il suo futuro sia nelle corse a tappe, ha tanto da dire e ampi margini di miglioramento su cui lavorare’’.

Cosa rappresenta per Lei oggi il ciclismo?

“La mia più grande passione, che non si è mai spenta e mai si spegnerà. Vado in bici tre volte alla settimana, faccio almeno 60 chilometri andando  verso Burcei, Campuomu e San Gregorio. Il ciclismo, rispetto a quando correvo io, è inevitabilmente cambiato. Le bici sono leggerissime, prima pesavano di più, i pedali erano ancora con il fermapiede e il cinturino, non c’erano le radioline ed era tutto più genuino. Il ciclismo prima era un qualcosa di artigianale ora è molto scientifico, seppur la fantasia dei corridori riesca sempre ad infiammare gli animi. Per quanto differente, però,  non ha perso la sua poesia e il senso di libertà che provo quando pedalo mi emozionerà sempre’’.

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