«Voglio valorizzare il cinema d’autore. È da lì che parte tutto, il resto è cinema industriale». Silvano Agosti parla con tono sognante, mentre riavvolge i fili della sua memoria seduto nel terrazzo all’ultimo piano del condominio in viale Giulio Cesare a Roma in cui abita. Ospite nei giorni scorsi del “PuntodiVistaFilmFestival”, organizzato dall'associazione Art’In al Teatro Adriano in via Sassari a Cagliari, durante cui ha tenuto un seminario a cui è seguita la proiezione del suo film “Uova di garofano”, traccia un bilancio sul panorama culturale italiano: dalle sue conclusioni traspare molto di più del talento di un regista affermato, oltre che romanziere e poeta, bensì quella voglia di mettere in discussione ogni tabù. Riflette con pacatezza, mentre guarda davanti a sé le persone passeggiare nell’alberato viale capitolino.

Partiamo dal titolo del Festival. Che punti di vista offre il cinema?

«Il cinema passa attraverso le immagini, è una commistione di perfezione e movimento. I punti di vista che offre sono dinamici, sempre pronti a mutare forme e a rinnovarsi. In perenne evoluzione come la vita».

Tra le sue collaborazioni più illustri spicca Ennio Morricone. Qual è il suo primo ricordo a riguardo?

«Conobbi Morricone mentre lavoravo al film “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio. Quando lo incontrai gli chiesi di fare qualcosa di diverso rispetto a quello che svolgeva di solito, così da poter valorizzare al massimo la componente vocale. Morricone ha curato la musica per 4 miei film gratuitamente, era una persona generosa e sensibile».

Come definirebbe il mestiere del cinema?

«Uno dei giochi più straordinari che può praticare una persona.

A proposito di Marco Bellocchio. Quanto è stato importante per lei nel suo percorso?

«Tanto. Ci conoscemmo all’epoca del Centro Sperimentale, fu lui a contattarmi perché aveva sentito parlare della mia abilità nel montaggio».

Oltre ad essere regista e sceneggiatore è anche scrittore e poeta. Trova delle differenze?

«Ci sono, così come i punti in comune. Sia nel cinema che nella letteratura sono i sensi e le percezioni a fare la differenza. Sono due dimensioni dove le immagini, sia nella loro forma concreta che in quella evocativa, assumono un ruolo centrale».

In Lettere dalla Khirghisia scrive che imparare è un piacere raro. Insegnare invece?

«Un crimine. Talvolta è come imboccare una persona quando non ha fame. Bisogna lasciare spazio e totale libertà alle persone, stimolare in loro la componente del gioco che è la base di ogni linguaggio creativo».

Ha citato il concetto di libertà. Un artista in Italia è libero?

«L’Italia è permeata da una finta democraticità. Chi è veramente libero viene emarginato. Chi ha il coraggio di essere libero qui? Pochissimi, che vengono condannati al silenzio».

Nella poesia Il canto della Giovinezza” scrive. Lascia tuo padre, lascia tua madre e vedrai il volto della vita. Lei questo volto lo ha visto davvero?

«Sì, nel momento in cui mi sono reso indipendente, costruendo una vita al di fuori della mia famiglia. I nuclei familiari sono importanti ma possono anche essere oppressivi: ognuno deve avere il diritto di fare le proprie esperienze».

E se si parla di giovinezza la sua come la ricorda?

«Ricorda? È forse passata? Io mi sento ancora giovane e la gioventù ho iniziato a capirla solo quando ho compiuto ottant’anni».

Nel grande classico del 1965 I pugni in tasca spicca il personaggio di Alessandro interpretato da Lou Castel. Come lo definirebbe? Folle, anti eroe tragico o vittima?

«Nulla di ciò. È un rispettabile ribelle che odia gli ipocriti. È un ragazzo che non si fa imprigionare dal contesto in cui è cresciuto».

Prima di congedarsi, ammonisce. «Sapete cosa frega le persone? La diffidenza reciproca. I veri rimpianti stanno in ciò che non si è fatto».

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