Volato sulla Croisette per sostenere una masterclass e ricevere la Palma d’Oro onoraria alla carriera, il gigante del cinema George Lucas ha rilasciato nel corso delle giornate a Cannes una corposa intervista come non succedeva da tanti, troppi anni.

Tra i più autorevoli esponenti della Nuova Hollywood insieme a pezzi da novanta come Steven Spielberg e Francis Ford Coppola, ricordato in particolare per aver dato vita a saghe immortali come quella di “Star Wars” e “Indiana Jones”, il maestro è stato accolto per oltre un’ora e mezza in una sala del Théâtre Debussy, ricostruendo le tappe di un’attività lavorativa lastricata di successi e divenuta col tempo leggendaria. Fra i tanti spunti di conversazione, Lucas ha innanzitutto chiarito come in principio fosse spinto più dall’interesse verso gli sviluppi del cinema che dai potenziali guadagni: «All'epoca io e Francis pensavamo a come fare film, non a fare soldi con i film. Amavamo davvero il cinema, anche se non sapevamo ancora molto su cosa volesse dire. Quello era un periodo particolare per Hollywood. C'era bisogno di un ricambio generazionale e quindi cominciarono ad assumere giovani diplomati alle scuole di cinema. Credevano che sapessimo cosa stavamo facendo».

Oltre ad aver raccontato del successo di “American Graffiti”, che ha reso possibile la nascita di “Guerre Stellari”, Lucas ha risposto ai tanti che hanno criticato i ritocchi alla vecchia trilogia di “Star Wars”, resi possibili con l’avvento della computer grafica: «Non credo nel perfezionismo. Per finire Star Wars ho dovuto fare pace con un sacco di difetti e imperfezioni. All'epoca solo se eri Kubrick potevi ottenere di girare fino alla perfezione prima di arrivare in sala. Con l'avvento degli effetti visivi per me è cominciata un'era entusiasmante. Mi hanno permesso di tornare indietro, di sistemare cose che magari il pubblico non vede, ma che per me erano come dei nei, delle macchie sullo schermo».

E a seguire ha aggiunto: «Su insistenza dei fan l'abbiamo fatto, in laser disk, e il commento più diffuso è stato: ma sono tremendi. E io ho pensato: lo so! Le versioni ritoccate mi hanno permesso di finirli come avrei voluto fare all'epoca, ma non sono riuscito. C'erano problemi di continuity, l'aspetto di Jabba era un enorme compromesso. Non li ho fatti brutti intenzionalmente, come pensano alcuni. Anzi, ho pagato 6 milioni di dollari a film per permettervi di vedere come erano, per capire cosa non andava. Alla luce del progresso tecnologico, io credo fermamente che un regista debba avere la possibilità di realizzare il film così come lo ha immaginato, se ha la possibilità di farlo».

Ma oltre alle esperienze vissute sul campo, il director non s’è risparmiato su questioni che interessano il mercato odierno. Interrogato sulle passate dichiarazioni del collega Martin Scorsese relative al mondo dei cinecomics, secondo cui si tratterebbero di meri prodotti commerciali che avrebbero ben poco a che fare col cinema, Lucas ha avanzato le proprie opinioni a riguardo: «Il cinema è l'arte dell'immagine in movimento. Quindi, se l'immagine si muove, allora è cinema. Penso che Marty abbia cambiato un po' idea alla fine»”

Sebbene questa posizione possa considerarsi fin troppo neutrale, il filmaker non ha potuto fare a meno di proseguire il dibattito descrivendo la situazione attuale dell’industria di Hollywood dinanzi a un vicolo cieco: «Le storie che raccontano sono solo vecchi film. Facciamo un sequel, facciamo un'altra versione di questo film. Non c'è un pensiero originale. I grandi studi cinematografici non hanno più immaginazione». E rispetto a un suo potenziale ritorno, Lucas ha tenuto a fare estrema chiarezza: «No, sono in pensione. L'ultimo che ho fatto come produttore è stato un film chiamato Strange Magic. Ora faccio solo film che voglio fare, finanziandomi autonomamente».

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