In concomitanza con l’uscita dell’ultimo capitolo della serie, vale la pena chiedersi come la celeberrima saga dei motori e degli eccessi a quattro ruote sia stata capace di accompagnarci nel corso di oltre vent’anni. Dall’uscita nel 2001 del primo, indimenticabile titolo del franchise niente sarebbe stato più lo stesso: in un’epoca volta al cambiamento, affacciata al nuovo millennio ed erede di tutto il lascito degli anni 90, l’industria cinematografica compieva le sue sperimentazioni orientata verso la caccia a nuovi generi e a un successo garantito di botteghino. Su questa linea “Fast and Furious” esordì quasi di nascosto, già anticipando tuttavia la continuazione di un universo noto perfino ai poco avvezzi alla guida automobilistica. Perché la serie cinematografica racconta una storia di motori ma anche e soprattutto di legami, rimanendo intrecciata ai punti forti che l’hanno resa riconoscibile senza mai deludere le aspettative dei suoi spettatori.

Vediamo allora più nel dettaglio com’è stato possibile che la serie sia divenuta il fenomeno di massa che conosciamo.

La famiglia di Dominic “Dom” Toretto - interpretato da Vin Diesel - è divenuta, in qualche modo, parte della nostra realtà familiare. Nei regolari traguardi che impone il dover crescere - dalla scuola fino all’università, con tutto il carico di conquiste, errori e sofferenze che ne derivano - restava spesso impresso il ricordo della mitica Dodge Charger Anni 70, che col suo rombare risvegliava nelle nostre menti l’iconica frase “vivi un quarto di miglio alla volta”. A quel sentimento di rivalsa - con tutto il suo carico di rabbia, nera come la carrozzeria della vettura - gli faceva eco la Nissan Skyline di Brian O’Conner - l’agente sotto copertura interpretato dal mai troppo compianto Paul Walker - che diverrà per Toretto a tutti gli effetti un compagno fraterno. 

Una famiglia sul set e - per così dire - anche al di fuori, con personaggi e interpreti divenuti irrinunciabili negli episodi successivi: dai già citati Dom e Brian per arrivare a Letty (Michelle Rodriguez), Mia (Jordana Brewster), Han (Sung Kang), Tej (Ludacris), Roman (Tyrese Gibson), Luke (Dwayne Johnson), Shaw (Jason Statham) e Megan (Nathalie Emmanuel).

Un intreccio di affetti e relazioni che definiremmo anche disfunzionale, e che pure non ci ha mai tradito, dove il pubblico riesce a percepirsi come parte integrante delle vicende in quel senso di coesione che non cede il passo al coinvolgimento. Questo perché tutto il format ha saputo consolidarsi sull’alternanza di evoluzioni da capogiro e rapporti umani uniti dal senso della coesione, del rispetto, ma anche della difficoltà nel mantenersi entro i margini delle regole; in una società fin troppo stretta nei suoi dettami di cieca sottomissione e conformismo. Per questo la saga di “Fast & Furious” vuole anche simboleggiare una lotta contro la perdita della propria personalità, un po’ come avviene per le sorprendenti customizzazioni delle automobili che vediamo sfrecciare a perdita d’occhio. 

Si direbbe quasi che il sentiero tracciato dalla saga coincida un po’ con nostro percorso personale. E non è un caso, considerando che inizialmente - con l’uscita del primo episodio - ci si è trovati di fronte a un prodotto passato in sordina, perché orientato presumibilmente a un pubblico sicuramente ampio ma fatto soprattutto di appassionati delle quattro ruote; per questo motivo un successo così consolidato si è rivelato essere una sorpresa. Ispirato da un reportage giornalistico sulle corse clandestine per le strade di New York, si pensava già che gli elementi distintivi del primo film fossero troppo prosaici per lasciare il segno e consolidarsi negli anni. Sull’altro versante, qualsiasi appassionato di auto custom da quel momento in poi avrebbe trovato nel personaggio di Dominic Toretto il suo fidato paladino. 

E col suo profilo, in particolare, si sarebbe poi compiuta una vera evoluzione all’interno dello show: nei suoi caratteri di pilota, genitore, disertore della legge ed eroe contro il sistema delinea un perfetto esempio di antieroe moderno. A questa serie il grande merito perciò - anche girando di meta in meta per i vari angoli del globo - di essersi conquistata un pubblico prima refrattario e diffidente. Ciò proprio grazie alla sua filosofia di fondo, che riecheggia non meno forte del frastuono dei motori: vivere il presente con la gratitudine per ogni singolo attimo che ci è concesso. 

E dunque, abbiamo saputo amare in fretta l’immancabile assetto da sbruffone  di Dom, perché ne abbiamo fin da subito riconosciuto la sua autenticità, esattamente come l’intera saga che non ha mai tradito le sue radici, e - all’insegna dell’intrattenimento - si è fatta apprezzare scevra da qualsivoglia schema o preconcetto.

Una scelta nel voler coinvolgere il suo pubblico assolutamente schietta e spontanea, nella quale riconoscersi con lo stesso calore del focolare domestico, quel luogo in cui gli affetti sanno indicarci la via da percorrere per incedere - un po’ timorosi ma sempre speranzosi - nel via vai dei tortuosi saliscendi del nostro vivere. 

Giovanni Scanu

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