Addio a Paolo Bonacelli, lo “zio” di Johnny Stecchino che lavorò coi più grandi
Chiamato al debutto da Vittorio Gassman per "Questa sera si recita a soggetto", fin da subito si rivelò un formidabile animale da palcoscenicoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
È morto ieri sera a Roma, all’età di 88 anni, Paolo Bonacelli, rimasto indelebile nella memoria del cinema, della televisione, della scena.
Nato a Civita Castellana il 28 febbraio 1937, diplomato all'Accademia d'arte drammatica a Roma, chiamato al debutto da Vittorio Gassman per "Questa sera si recita a soggetto" col Teatro Popolare nel 1962 , Bonacelli è fin da subito un formidabile “animale" da palcoscenico. La sua voce potente lo fa notare anche da chi siede in ultima fila, il fisico corpulento ma agile gli schiude una gamma di caratterizzazioni molto diverse, la duttilità della voce, con una dizione sanguigna e tonalità che passano senza sforzo dal suadente al roboante, gli permette di rendere vivi i grandi protagonisti del teatro, da Shakespeare a Pinter, da Sartre a Moliere, anche se sarà sempre legato a personaggi moderni, stranianti, ironici e surreali al confine con l'assurdo.
La sua è la generazione dei Glauco Mauri, Gianni Santuccio, Massimo De Francovich, Romolo Valli: protagonisti capaci di riempire la scena senza le pose dei vecchi capocomici, ma con un carisma che si fa arte. Al teatro Paolo Bonacelli è rimasto legato tutta la vita, anche per quel piacere sottile della vita "in compagnia", ogni sera una città diversa che per lui, raffinato gourmet, si traduceva spesso nella ricerca del ristorante dove "si mangia bene", adirandosi con colleghi e amici se poi lo trovava chiuso al termine dello spettacolo. Per capire subito che genere di persona e di artista è stato vale la pena di ripescare sulle piattaforme la sua lettura dei "Tre moschettieri" condotta integralmente per Radio Rai. Qui si capisce subito come Bonacelli potesse essere contemporaneamente il guascone D'Artagnan, l'elegante Aramis, il sofferto Athos e il gaudente Porthos.
Era tutti e nessuno, avendo sempre rigettato l'identificazione tra attore e personaggio.
«Io non sono colui che porto in scena – diceva -, piuttosto sono l'accompagnatore della fantasia dell'autore che leggo nelle parole del testo e mi sforzo di rendere vive per lo spettatore. Ma quando cala il sipario io resto solo Paolo, con la mia vita e le mie passioni». Se il teatro è stato la "moglie" di Bonacelli, è grazie a una generosa "amante" come il cinema che il suo volto è diventato popolare in Italia e nel mondo.
Oggi infatti tutti lo ricordano come l'avvocato di "Johnny Stecchino" con l'amico Benigni, con quella memorabile scena dell’auto e del traffico che è la rovina di Palermo, il marinaio di "Comandante" per Edoardo De Angelis o soprattutto il terribile fascista di "Salò", l'ultimo profetico film di Pier Paolo Pasolini. Sul set in giovane Bonacelli era arrivato già all'inizio degli anni '60 e si era fatto notare da Mario Mattoli con una particina di classe in "Cadavere per signora" del 1964.
Da allora ha lavorato con tutti i più grandi da Scola a Montaldo, da Bologninj a Liliana Cavani (in un memorabile "Francesco" a fianco di Mickey Rourke), da Rossellini a Francesco Rosi (indimenticabile in "Cristo sì è fermato a Eboli"); lo hanno voluto Antonioni e Bellocchio, ma lui non si è mai negato al cinema popolare e lo si ritrova anche in commedie come "Rimini Rimini" o "Io speriamo che me la cavo". Se negli ultimi anni aveva scartato diverse proposte per fiction tv, la storia della Rai è punteggiata dalle sue apparizioni tra "I racconti di Padre Brown" con Renato Rascel (1965) ai "Promessi sposi" di Salvatore Nocita, spesso affidandosi a veterani della tv come Daniele D'Anza o Sandro Bolchi, ma anche ad autori da cinema come Damiano Damiani o Carlo Lizzani.
In tutto la filmografia di Paolo Bonacelli supera ampiamente i 100 titoli, per l'ultima volta si è visto alla Mostra di Venezia con "In the land of Dante" di Julian Schnabel.
(Unioneonline)