Il peso della pandemia sul cuore è significativo. Anche sull’assistenza. Si è rallentata l’attività dei 271 Laboratori di emodinamica italiani, facendo registrare cali fino al 20% nel numero di procedure di cardiologia interventistica erogate.

Sebbene molte prestazioni siano state recuperate e l’attività dei laboratori sia stata in costante crescita nel 2021 e 2022, tuttora i livelli di accesso alle terapie di cardiologia interventistica sono inadeguati rispetto ai bisogni dei pazienti italiani: appena l’1.5% per esempio viene trattato per l’insufficienza della valvola cardiaca mitrale e si interviene solo nel 14% dei casi di stenosi aortica; nonostante l’incremento degli interventi, inoltre, si registra ancora un calo dell’8% nelle angioplastiche rispetto agli anni pre-Covid.

I numeri più recenti

Il dato emerge dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), che ne hanno parlato durante il Forum Risk Management in Sanità, tenutosi ad Arezzo. «La pandemia ha comportato consistenti ritardi di cura anche nel campo della cardiologia interventistica: dopo il grande calo del 2020 causato dal Covid – spiega Giovanni Esposito, presidente GISE e direttore del dipartimento di Cardiologia all’Università Federico II di Napoli. Nel 2021 abbiamo assistito a una ripresa consistente degli interventi, con una crescita dal 7 al 36% nelle diverse procedure, con l’eccezione delle angioplastiche, dove c’è ancora una riduzione dell’8% rispetto al pre-pandemia. Anche con i numeri attuali, tuttavia, non riusciamo a rispondere al bisogno clinico dei pazienti».

L’accesso alle terapie

In molti casi la quota di pazienti che effettivamente accedono alle terapie è ancora assai bassa: dei pazienti con insufficienza della valvola mitrale candidati al trattamento, solo l’1.5% è sottoposto all’intervento di riparazione valvolare transcatetere, nonostante si tratti di una patologia 4 volte più frequente della stenosi aortica, con una mortalità a un anno che arriva al 57%, e la procedura garantisca un miglioramento consistente della qualità di vita e della funzionalità cardiaca, con una riduzione significativa dei successivi ricoveri.

«L’impegno GISE, oggi, è garantire gli standard di cura su tutto il territorio nazionale in maniera tempestiva, adeguata, equa e sostenibile, ottimizzando i percorsi di diagnosi e cura ma anche cogliendo l’opportunità per investire in tecnologie e innovazione attraverso una partnership strategica fra clinici e istituzioni – riprende Esposito –. Per questo GISE si sta impegnando a promuovere un Piano Cardiologico Nazionale e ha stilato un accordo con AGENAS per valorizzare i dati dei registri, promuovere una raccolta dati istantanea delle procedure eseguite, valutare gli esiti attraverso lo sviluppo di specifici indicatori, introdurre soluzioni evolute per l’assistenza dei pazienti ed elaborare documenti di indirizzo evidence-based negli ambiti in cui c’è ancora incertezza clinica. Abbiamo dunque istituito tavoli di lavoro su 5 aspetti di rilevanza fondamentale, ovvero la sostituzione transcatetere della valvola aortica, la riparazione transcatetere della mitrale e della tricuspide, il trattamento delle patologie cardioemboliche e l’ottimizzazione della rivascolarizzazione coronarica: l’obiettivo è analizzare i fabbisogni epidemiologici, identificare i percorsi di cura, misurare gli esiti e anche programmare le risorse da dedicare alle tecnologie, che sono un investimento in salute e non un costo, perché aumentano la capacità del sistema e possono essere d’aiuto».

Red. Ins.

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