Sono migliaia i sardi che ogni anno affrontano i cosiddetti viaggi della speranza per raggiungere strutture sanitarie d’eccellenza in altre regioni. Cercano una cura, vogliono un secondo parere, e tanti di questi approdano all’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di Candiolo (Torino), di cui è direttore sanitario il dottor Piero Fenu. 63 anni, originario di Banari, laureato in Medicina e Chirurgia nel capoluogo piemontese.

Quanti sono i pazienti sardi in cura da voi?

«In media in un anno circa 500, di questi un centinaio sono i ricoveri, il resto accessi per visite. Un numero che è in aumento e non considera gli emigrati che vivono quindi in altre regioni».

Per quali patologie?

«Colonrettali o della mammella, ma questo non significa certo che la Sardegna faccia registrare una particolare incidenza. Sono in generale i tipi di tumore più diffusi tra la popolazione».

Avete macchinari particolari?

«Una piattaforma di chirurgia robotica, che permette interventi meno demolitivi rispetto al passato con dimissioni precoci e un ritorno più veloce alle attività socio-familiari».

Ci sono stati grandi progressi negli ultimi cinque anni?

«A livello di chirurgia, in particolare quella mini invasiva si è affermata moltissimo, anche quella laparoscopica e laserchirurgica, modi per cercare di agire sulla massa tumorale risparmiando i tessuti circostanti con vari accorgimenti e tecniche».

Che peso ha l’aspetto psicologico nei confronti del paziente?

«È fondamentale, si tratta di curare persone che hanno ricevuto una diagnosi terribile, i tumori sono collegati mentalmente all’incurabilità e alla morte, per fortuna non è più così ma è normale un trauma psicologico. Quindi l’ambiente deve essere umanizzato con personale disponibile e solidale rispetto alla malattia, è importante avere dei professionisti della psiche. Abbiamo infatti il servizio di psicologia attivo con tre professionisti che prendono in carico i pazienti o su loro espressa volontà o quando, durante l’iter clinico, il medico si accorge di qualche problema e propone la consulenza».

Qual è il vostro elemento di eccellenza?

«Un modello gestionale che integri la ricerca. Mi spiego: abbiamo medici e ricercatori, il paziente riceve un trattamento personalizzato sulla base delle analisi genetiche del proprio tumore, a livello terapeutico viene inserito in un protocollo anche sperimentale adatto alle sue caratteristiche cliniche».

Prevenzione primaria, secondaria e terziaria: cosa significano?

«Nella primaria rientrano l’attenersi a stili di vita salubri, moderare gli alcolici, non prendere troppo sole, niente lampade abbronzanti, non lavorare in ambienti malsani o in cui sussistano inquinanti cancerogeni. Nella secondaria individuare il tumore in una fase precoce: quando effettuiamo una colonscopia – ed è importantissimo farla periodicamente – o una mammografia di screening, l’obiettivo è proprio quello di individuare il tumore in uno stadio iniziale, quello in cui gli interventi possono dare i migliori risultati, con più possibilità di guarigione. Consiglio quindi di rispondere sempre allo screening quando chiama la Asl, un esame può salvare la vita. Infine la terziaria riguarda i pazienti che hanno già avuto un tumore e devono evitare recidive, con uno stile di vita salubre, un po’ di attività sportiva, niente fumo, bere alcol con moderazione».

Sabrina Schiesaro

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