Green pass: coercizione o segno di civiltà?
Da non confondere l’obbligatorietà al certificato verde con l’obbligatorietà al vaccino
“Se il certificato diventa indispensabile per esercitare diritti fondamentali, come andare al lavoro, c’è il rischio che il vaccino sia di fatto obbligatorio”. Queste le parole di Ginevra Cerrina Feroni rilasciate nella sua qualità di vice-presidente del Garante per la protezione dei dati personali, le quali non hanno mancato di accendere vivaci polemiche e/o di esacerbare gli animi di quanti, colti da forme di bieco scetticismo strumentale, non si sono fatti scrupoli nel manifestare, ed anche in maniera piuttosto “accesa”, e di certo in alcuni casi poco ortodossa, il proprio disappunto.
Si tratta di un fraintendimento voluto, alimentato da quanti vogliano ritrarne un certo vantaggio sul piano politico, oppure di una preoccupazione reale? Esprimersi con certezza in un senso o nell’altro potrebbe apparire come un atto di pura e semplice supponenza argomentativa. Ma senza voler correre il rischio di colpire la sensibilità di quanti nutrano una pur legittima diffidenza verso le nuove misure varate dal Governo, certamente una opinione motivata può ben costituire il punto di partenza di un dibattito sicuramente ampio nella sua complessità concettuale. Occorre al proposito fare chiarezza, preliminarmente a qualsivoglia ulteriore dissertazione, su taluni aspetti che, forse più di tanti altri, hanno costituito l’humus ideale per favorire il diffondersi della madre di tutti i fraintendimenti: quello per cui l’obbligatorietà della certificazione verde equivalga all’obbligatorietà della vaccinazione; quello per cui il dibattito sulla medesima certificazione verde sia sempre e comunque sovrapponibile alla discussione sull’obbligatorietà del vaccino per talune categorie di lavoratori. Intanto, perché, per il momento, l’unico obbligo è quello previsto dalla legge numero 76 del 2021e coinvolge “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”.
Quindi, perché si tratta, a ben considerare, e comunque, di un obbligo temporaneo, strettamente riconducibile alla emergenza sanitaria ed alla completa realizzazione del piano vaccinale. Inoltre, perché un soggetto non ancora vaccinato può comunque “eludere” (mi si consenta l’utilizzo di siffatta espressione) l’obbligatorietà della certificazione verde attraverso l’esecuzione di un tampone che, per quanto mi riguarda, dovrebbe rispondere sempre ai criteri della gratuità. Infine, perché, come ha voluto chiarire Sabino Cassese, “il green pass non comporta un obbligo generalizzato ma costituisce”, piuttosto, “un requisito o una idoneità”. Ma allora mi domando e dico: se tale è lo stato dell’arte nella specifica materia, sono ammissibili, e/o financo astrattamente concepibili, prima ancora che accettabili sul piano dell’ordine pubblico, tutte le polemiche e tutte le correlate manifestazioni oltranziste che fino ad oggi hanno voluto cavalcare il malcontento popolare al solo non recondito fine, sembrerebbe, di ostacolare il piano sanitario anti-covid ed impedirne una efficace definizione? Deve continuare ad esistere il “problema” per giustificare, in taluni casi, il permanere di uno “stato di cose limboidale” che assicuri il controllo più o meno diretto e capillare della società civile da parte di sparuti gruppi politici desiderosi di riappropriarsi di un bacino considerevole di consenso in vista dei prossimi appuntamenti elettorali? Il paventato ed alimentato timore di perdere le nostre libertà fondamentali può, verosimilmente, costituire la leva ideale di indottrinamento delle masse verso forme di “anarchia” disobbediente nei confronti del potere statale pre-costituito da chiunque personificato nella sua espressione soggettiva? Si tratta, evidentemente, di una di quelle cosiddette “questioni politiche”, ossia condizionate politicamente, che tanto paiono appassionare talune classi dirigenti italiane, siccome gli interessi relativi alla distribuzione del potere, al mantenimento dello stesso, e/o al suo potenziale trasferimento, sono divenuti più o meno inconsapevolmente decisivi e condizionanti per la risposta a quelle medesime “questioni” pur non essendone, in apparenza, direttamente riconnessi. Ebbene: se così realmente fosse, su quali fondamenti di giustificazione interna, e su quali mezzi esteriori, poggerebbe, come di fatto sembra poggiare, questo pseudo-potere insinuante? L’avvento della pandemia ha messo in discussione, delegittimandolo, il potere della “legalità”, ossia della fede nella validità di una disposizione normativa, sia pure temporanea, quale quella, a titolo esemplificativo, relativa all’obbligatorietà della certificazione verde, come pure il potere/obbligo della obbedienza nell’adempimento di doveri conformi a una regola prestabilita? Gli interrogativi proposti sono a mio modesto avviso tutt’altro che banali, ed esprimono, in tutta la sua drammaticità, la “flessibilità ideologica” di una società confusa che ha definitivamente perduto i suoi punti cardinali di riferimento e che, per ciò stesso, sembra aver smarrito la capacità di distinguere il confine tra ciò che è giusto e legittimo, ovvero necessario in determinate condizioni, e ciò che invece costituisce autentico “abuso”.
Leonardo Sciascia aveva a suo tempo avuto modo di affermare che “la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”: oggi siffatta affermazione si impone in tutta la sua verosimiglianza e trova la sua espressione concreta nelle criticità legate all’introduzione del “green pass” siccome dai più considerato quale espediente di governo per imporre “altrimenti” un obbligo generalizzato allo stato inesistente per legge per non essersi create le condizioni utili per la sua introduzione. Detto altrimenti ed una volta per tutte: dal punto di vista giuridico non è possibile imporre per legge un comportamento senza che esso sia concretamente esigibile, giacché un obbligo siffatto presupporrebbe innanzitutto, a monte, la disponibilità di opportuni mezzi e di opportune risorse che allo stato, purtroppo, sembrano difettare. A significare che ogni polemica sul punto è destinata a sgonfiarsi alla prova di fatti contingenti concludenti.
Avanti tutta, quindi, con la certificazione verde e bando alle chiacchiere da corridoio e da piazza che altro non fanno se non ostacolare una rapida ripresa sanitaria ed economica. La sudditanza ad ideologie imposte “altrove” non è mai appartenuta alla nostra cultura giuridica e non dobbiamo consentire che finisca per imporsi come “pensiero unico dominante” condizionando le nostre esistenze.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)