L’allarme era scattato a ridosso dell’estate, quando la diffusione dello streptococco aveva raggiunto il picco: i tamponi fatti in farmacia alla ricerca del batterio sono passati in un anno da 3.857 a oltre 77mila, con una crescita impressionante del 2.000%. Una diffusione che ha coinvolto non solo gli adulti, ma anche le fasce dei pazienti in tenera età.

Ma cos’è lo streptococco? Si tratta di un microrganismo unicellulare appartenente alla famiglia dei cocchi Gram positivi, un gruppo di batteri di tipo e forma diversi molto diffusi in natura. Si dividono in due gruppi, A e B, i quali si differenziano sia per struttura sia per capacità patogena. Una prima classificazione li distingue in streptococchi alfa-emolitici e streptococchi beta-emolitici; tra questi ultimi, quelli più interessanti per la salute appartengono al sottogruppo A e B. Per quanto riguarda i primi, noti come pyogenes, sono la causa della maggior parte dei disturbi quali faringite, tonsillite, febbre reumatica, scarlattina e impetigine con diverse complicazioni. Gli streptococchi agalactiae o GBS del sottogruppo B, invece, sono responsabili della trasmissione di infezioni dalla madre al bambino durante il parto, ma anche di meningite, polmoniti e sepsi. I medici sottolineano che, in generale, l’infezione da streptococco causa un’ampia varietà di malattie in quanto i batteri  del Gruppo A si trasmettono in via diretta da persona a persona diffondendosi rapidamente in tutto l’organismo attraverso il sangue.

Numerosi fattori di rischio

La cute e le mucose sane costituiscono solitamente una robusta barriera contro l’infezione da streptococco del gruppo A, che colpisce più facilmente chi è già affetto da malattie debilitanti come i tumori oppure croniche come il diabete. I fattori di rischio? Indebolimento del sistema immunitario, scarsa igiene e promiscuità, ma i microrganismi del gruppo A possono aderire anche a dispositivi medici come cateteri e protesi auricolari. Lo streptococco del gruppo B è particolarmente pericoloso per le donne in gravidanza, che lo contraggono durante rapporti intimi e sessuali: per questo motivo, tra la 36esima e la 37esima settimana di gravidanza, la donna si deve sottoporre a un tampone rettale/vaginale; in caso di risultato positivo, la partoriente deve essere sottoposta a cura antibiotica durante la fase di travaglio. Viceversa, il nascituro rischia di andare incontro a  gravi infezioni che si manifestano soprattutto durante la prima settimana di vita (ma anche fino al terzo mese) sotto forma di infezioni del sangue, infiammazioni delle membrane che circondano il cervello e il midollo spinale, polmonite (o quantomeno difficoltà respiratorie), febbre, difficoltà ad alimentarsi, riflessi depressi. Il rischio di contrarre il batterio è tanto più elevato quanto più il bambino nasce prematuro.

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Streptococchi A e B, pericolo per l'ospite: mal di gola, febbre e, nei casi peggiori, danni al nascituro

La diffusione dello streptococco all'interno dell'organismo umano causa una serie di sintomi più o meno lievi o gravi. Questa distinzione è figlia della classificazione in gruppi A e B del batterio, capace di provocare quindi patologie e infezioni diverse.

I piccoli i pazienti più colpiti


Per quanto riguarda lo streptococco appartenente al gruppo A, i segni del contagio sono febbre, capogiri, ipotensione, stato confusionale, eruzioni cutanee; a questi si aggiungono la formazione di placche, contenenti pus, che interessano le tonsille e i linfonodi del collo gonfi e doloranti alla palpazione. L'infezione si trasmette per via diretta, il mal di gola causato da questo tipo di streptococco è molto diffuso tra i bambini e gli adolescenti, mentre è più raro nella fascia d'età adulta. Se non curato a dovere, lo streptococco rilascia la streptosolina a livello di faringe, scatenando così la scarlattina che si caratterizza per un'eruzione cutanea dal colore oscillante tra il rosato e il rosso e che interessa soprattutto l'addome e i lati del torace, oltre che il viso e le pieghe della pelle. Curiosa la conseguenza della scarlattina sulla lingua, che si presenta ricoperta da una patina biancastra con macchie rosse; di per sé, la malattia non provoca né prurito né dolore, anche se lo strato superficiale della pelle tende a desquamarsi. E se i bambini contagiati entrano a loro volta in contatto con i genitori, insegnanti o altri adulti di riferimento? Accade che questi ultimi si infettano a loro volta, ammalandosi però "solamente" di faringite. Anche l'impetigine si manifesta nei bambini sotto forma di eruzione cutanea con gruppi di bolle arrossate che poi diventano vescicole gonfie e piene di liquido trasparente, causata anch'essa dallo streptococco del gruppo A. In questo caso, i sintomi principali sono la febbre, la dissenteria e un malessere generale. La causa principale di questo disturbo è attribuibile a una cattiva igiene di una ferita e ai germi presenti nelle vie orali. Tutti i sintomi sopra elencati permettono di riconoscere l'infezione spesso senza nemmeno ricorrere a esami di laboratorio. Altre, però, come nel caso della faringite streptococca, presentano sintomi che possono essere ricondotti anche a infezioni causate da altri batteri e virus e, per questo motivo, è opportuno che il piccolo paziente venga sottoposto al tampone rapido faringeo e, solo in caso di esito negativo o dubbio, si procede con la coltura in laboratorio di un campione di materiale prelevato dall'area infetta (gola, bocca). Un altro esame sicuro è il Tas, finalizzato a rilevare nel sangue gli anticorpi contro la tossina streptolisina. Una volta individuata e accertata l'infezione, si procede con la cura antibiotica: per quanto riguarda la somministrazione nei bambini - che, va ricordato, sono i principali soggetti esposti a questo genere di infezione - si preferisce l'amoxicillina, da assumere per via orale e in maniera continuativa per dieci giorni. È fondamentale che la cura sia tempestiva, onde evitare l'insorgere di complicazioni come l'otite, la sinusite e ascessi pieni di pus; nei casi più gravi e pericolosi, i germi possono raggiungere l'apparato cardiovascolare e provocare l'endocardite infettiva, che danneggia i tessuti e le valvole del cuore. Le stesse indicazioni terapeutiche che mirano a debellare il ceppo del gruppo A dello streptococco si possono applicare anche al gruppo B, utilizzando altri tipi di antibiotici come per esempio la penicillina.

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Focus pediatrico: curare al meglio evitando ricadute

Un detto popolare sostiene che non ci siano più "le mezze stagioni", facendo riferimento a sbalzi termici e a condizioni meteo non più così tipici della stagione in corso. Lo stesso concetto può valere anche per la diffusione dello streptococco: una volta essa si registrava soprattutto durante il periodo invernale e primaverile (nello specifico, da dicembre a marzo), mentre negli anni post pandemia numerosi casi si sono registrati anche a primavera inoltrata, quando non in estate. Per questo motivo, la Società italiana di pediatria ha pubblicato una guida per chiarire alcuni aspetti e affrontare al meglio questo disturbo.

Perché affidarsi agli specialisti


Il primo aspetto che i medici pediatri intendono sottolineare è che non tutte le faringotonsilliti sono riconducibili all'infezione da streptococco: si tratta infatti di patologie molto comuni in età pediatrica, tant'è che il batterio è responsabile solo di un caso di questa malattia ogni quattro. Gli specialisti inoltre evidenziano quanto sia fondamentale evitare auto diagnosi e tamponi fai da te: è opportuno quindi che i genitori si rivolgano a loro, anche perché questo passaggio garantisce l'accuratezza della diagnosi e della relativa cura antibiotica da assumere, valutando anche eventuali forme di resistenza al farmaco prescritto. Occorre inoltre tenere presente che, secondo recenti statistiche, una percentuale (che oscilla tra il 10 e il 25%) di bambini che risultano positivi al tampone sono in realtà portatori di streptococco beta emolitico di gruppo A. La ripresa scolastica, infine, può avvenire già 24 ore dopo la prima somministrazione dell'antibiotico. Infine, i pediatri ricordano alcune buone norme per evitare la trasmissione e la diffusione dell'infezione: lavarsi accuratamente le mani; areare gli ambienti interni; evitare il più possibile comportamenti promiscui come l'utilizzo in condivisione di posate, bicchieri e asciugamani.

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