A inizio giugno noi sardi, insieme ad altri 400 milioni di europei, saremo chiamati a rinnovare il Parlamento di Bruxelles e di Strasburgo (già, abbiamo due case, evviva gli sprechi). Qualche mese prima, a febbraio, un milione e 300 mila sardi avranno l’onore e l’onere di scegliere un nuovo presidente della Regione e un nuovo Consiglio che abbiano la capacità, la forza e il coraggio di farci sentire sardi, italiani ed europei. Sinora - il riferimento non è certo solo all’ultima legislatura - i nostri “delegati” (in via Roma, in viale Trento e a Villa Devoto, anche noi abbiamo tante case, te ne privi?) non ci sono riusciti. La prossima sarà la volta buona? Ci aggrappiamo alla speranza, anche perché non abbiamo ancora capito cosa farà l’uno o l’altra per farci sentire cittadini d’Europa.

Sullo sfondo di una campagna elettorale che tarda ad arrivare (eppure si vota domani), assistiamo divertiti ma soprattutto arrabbiati a lui che bacia lei, a lei che bacia lui e via cantando con Annalisa (l’artista ligure è nel toto nomi del Capodanno a Cagliari, anche questo domani…), senza conoscere uno straccio di programma. A destra, a sinistra e al centro. Già, gli stracci. Quelli sì che volano. 

Gli ultimi l’altra sera: «Non ci sono le condizioni per sostenere un secondo mandato di Christian Solinas». Firmato: senatore Antonella Zedda, coordinatrice regionale di Fratelli d’Italia. Alzi la mano chi si dice sorpreso. Il problema, tuttavia, sono i tempi e i modi. Il logorio del centrodestra si è trascinato per settimane, mesi, con un ping-pong poco appassionante tra Roma (si vota anche in Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Umbria) e Cagliari, per arrivare a una conclusione politica imbarazzante. Dov’era FdI sino a sabato sera? Non sedeva forse nella Giunta Solinas accanto agli alleati di Lega, Psd’Az, Forza Italia e centristi in eterno movimento? Non ha condiviso gioie e (molti) dolori? Dalla riforma monca della sanità al commissariamento zoppo dei cantieri stradali? Da una spesa lenta, troppo lenta, a una riforma degli staff che la spesa dei soldi pubblici avrebbe dovuto velocizzare? Sappiamo com’è andata. Dov’erano gli alleati di Solinas quando il Governo (inizialmente amico, poi ancora di più) cuciva addosso alla Sardegna l’ennesima servitù, questa volta energetica, mascherata dal paravento della transizione ecologica? E dov’erano, tutti, quando i burocrati di casa nostra e quelli di Bruxelles scrivevano un improbabile modello di continuità territoriale?

Ecco perché la bocciatura di sabato di Solinas da parte di FdI, finalizzata a cambiare il cavallo in corsa con Paolo Truzzu - che dopo aver messo Cagliari sottosopra vuole lasciare prima di averla sistemata - appare come una fuga collettiva dalle proprie responsabilità. Ed è anche uno schiaffo a Pds’Az, partito identitario, e Lega. Finora, più che concentrarsi sui problemi reali della Sardegna, ci si attarda a sistemarsi in poltrone, poltroncine e sgabelli.

Il quadro non appare più consolante nel centrosinistra. Giochi fatti? Chissà. Giusto ieri Graziano Milia, forte non si sa bene di quali sondaggi buoni, ha rilanciato con un sibillino “Non è mai troppo tardi per un nuovo inizio”, proprio mentre il parlamentare del Movimento 5 Stelle, Ettore Licheri, evidenziava che la visita in Sardegna della segretaria del Pd, Elly Schlein, rappresenterà - venerdì - l’occasione per certificare la candidatura di Alessandra Todde. Ma come, sinora non ha parlato da candidata ufficiale del campo locale più o meno largo? E in attesa che il M5S definisca il “caso Sassari” (saranno espulsi o no i grillini che sostengono ancora Nanni Campus?), quali sono i programmi del Movimento di Giuseppe Conte (e di Grillo?) per tirare fuori dai guai una Sardegna «che ha avuto la peggiore Giunta della sua storia», parole e musica di Alessandra Todde? E qual è la ricetta del redivivo Renato Soru per rilanciare l’identità e soprattutto l’economia della Sardegna? Si propone forse di portare a termine il disastro della sua prima e già bocciata presidenza dagli elettori?

Sì, c’è confusione. E non sorprende che, in questo quadro, sia la burocrazia a sostituirsi alla politica, con un assessore o un sindaco, in ogni angolo dell’Isola, costretti a subire mesi e anni di transenne per un tombino fuori posto o per un cantiere fantasma sulla 131, magari commissariato proprio per accelerare i tempi. La politica si è fatta mettere all’angolo dai burocrati. Ed è una colpa, una massima colpa.

Doveva salvarci l’insularità, con il marchio a fuoco nella Costituzione. Non ci hanno messo un euro, i nostri eroi, comunque bravi tutti a portare a casa il risultato sulla magna carta. Bugia. Il Governo ci ha messo 5 milioni, da dividere con la Sicilia. Meglio niente, come la mancia lasciata a mala grazia al ristorante davanti a una cena deludente.

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