Sembrava garantismo, invece era un coccodrillo
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Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nei giorni scorsi, con una lunga lettera indirizzata al quotidiano “Il Foglio”, è intervenuto, scusandosi, sulla vicenda giudiziaria che nel 2016 aveva coinvolto l’allora Sindaco di Lodi Simone Uggetti il quale, inizialmente condannato in primo grado, è stato di recente assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta per insussistenza del fatto contestato.
A ben considerare, e nel tentativo di decifrare la misura ed il perimetro di una iniziativa a tal punto dirimente sull’indirizzo politico del Movimento, appare opportuno riflettere, sia pure senza soffermarcisi troppo, sull’atteggiamento assunto da Luigi Di Maio rileggendolo alla luce di un quadruplice, quanto contraddittorio, ordine argomentativo/motivazionale tratto dalle sue stesse dichiarazioni: il suo costante non voler essere frainteso per confermarsi, tuttavia, risoluto nella convinzione per cui chiunque si candidi a rappresentare le istituzioni abbia il dovere di mostrarsi sempre trasparente nei confronti dei cittadini; la convinzione che la cosiddetta “questione morale” non possa comunque essere sacrificata sull’altare di un cieco garantismo; la necessità di ripensare alla cosiddetta “gogna mediatica” quale strumento prevalente per portare avanti una qualsivoglia campagna elettorale; l’esigenza di preservare il principio di cosiddetta “presunzione di innocenza” e, di conseguenza, la dignità umana di quanti si trovassero coinvolti in vicende giudiziarie di vario genere.
Ebbene. Quale che sia la chiave di lettura delle circostanze fattuali e delle motivazioni interiori ad esse correlate che hanno inciso sulla decisione inducendo l’ex Capo Politico del Movimento 5 Stelle a spingersi al di là di un limite ideologico finora assunto a paradigma e dogma di sistema, appare innegabile che siffatto atteggiamento, solo a posteriori “indulgente” (ed è questo l’aspetto rilevante siccome chiaramente significativo degli accadimenti in esame), si sia riverberato sui “compagni” di partito in maniera piuttosto controversa e ambivalente, incontrando, per un verso, il plauso ipocrita e bicefalo dell’ala più marcatamente governista e, per altro verso, il silenzio assordante e l’imbarazzo profondo della falange ortodossa, affezionata alle roccaforti identitarie delle origini e sempre più disposta a riconoscersi in un rinnovato Movimento a guida moderata di Giuseppe Conte. Tuttavia, la situazione di incertezza “diplomatica” (se vogliamo così in-appropriatamente definirla) venutasi a creare tra i vari livelli di “governance” del Partito, per quanto di sicuro e sorprendente impatto mediatico, sembra apparire inidonea ad incidere fino in fondo sulle sorti prossime future dell’intera Organizzazione Politica di riferimento, soprattutto allorquando si consideri l’esigenza, divenuta primordiale, di portare avanti un progetto politico di nuovo conio da ri-cucire non solo attorno ad un nuovo leader moderato “universalmente” riconosciuto ed accettato (in potenza il Professore ed Avvocato Giuseppe Conte con buona pace di Luigi Di Maio il quale, seppure dotato di vivace intraprendenza, difetta della necessaria preparazione formativa istituzionale), ma anche intorno a tutte le altre realtà partitiche governative, notoriamente restie, se si esclude la Lega di Matteo Salvini (anch’essa, parrebbe, in via di ulteriore probabile trasformazione in senso inaspettatamente moderato, e quindi in “cerca d’autore”), ad accogliere ogni sia pur minima radice di matrice populista. In questo senso, discorrere nei termini concreti di una intervenuta conversione al “garantismo” da parte dell’ex Capo Politico del Movimento 5 Stelle, e/o alla luce di quel che di esso resta in “avanzo”, appare senza dubbio inappropriato siccome quello stesso preteso indice “garantista” così fieramente, quanto platealmente, brandito, sembra destinato ad infrangersi sugli scogli frastagliati di un paradosso insuperabile: ossia, l’esigenza, manifestata più o meno apertamente attraverso le sue dichiarazioni (perché questo sembra leggersi sottilmente tra le righe dell’intera “mea culpa” di Luigi Di Maio), di conservare l’espressione autentica del “garantismo” solo in correlazione alla necessità di subordinarlo comunque (il garantismo si intenda) al cosiddetto duplice verdetto di un Tribunale/Corte, quale che esso sia. In altri termini, e più semplicemente per intenderci: solo una sentenza di condanna, stando al “garantismo condizionato” di matrice “dimaiana”, sarebbe idonea a rendere legittima, ovviamente solo a posteriori, una qualsivoglia azione giudiziaria, ovvero, l’iniziativa assunta da un Pubblico Ministero, essendo egli l’unico vero titolare dell’azione penale. Alla luce di quanto così sommariamente argomentato, appare dunque oltremodo evidente il carattere meramente “stilistico”, oserei dire addirittura di “circostanza”, dell’atteggiamento artatamente anti-giustizialista assunto dall’aspirante “leaderino grillino”, il quale, purtroppo, con buona pace dei vari ipocriti di palazzo, sempre pronti a plaudire il mero tatticismo spicciolo fine a se stesso e alla conservazione dell’interesse contingente (rectius “poltrona”), non riesce ad andare oltre l’esibizionismo concettuale pilotato. In buona sostanza, il “garantismo”, nella sua corretta accezione di ideologia politica utile a sostenere la necessità di tutela delle garanzie costituzionali del cittadino da ogni possibile abuso da parte del potere pubblico, nel caso specifico in esame, non pare trovare dimora, siccome rettamente concepito quale unica solida alternativa ad una sceneggiata amaramente rappresentativa di un percorso ideologico/culturale decadenziale fondato su una cattiva interpretazione dei motti istintivi della coscienza individuale e collettiva, nonché su una concezione sommaria dell’essenza del “popolo”, della “elite”, e delle “istituzioni” nonché della loro stessa funzione sociale, da tempo oramai soffocata e sacrificata in nome della salvaguardia fallace di un profilo moralistico di dubbia sintesi e significazione. Il paternalismo autoritario di matrice penta-stellata, che aveva condotto il Movimento verso indici di gradimento elevatissimi, sembra oggi infrangersi definitivamente sul concetto di “democrazia solidale” impostosi quale contro-partita dell’inefficienza politica e partitica, ma non certo in esito alle “lacrime di coccodrillo” lucidamente esibite da Luigi Di Maio nella sua ritrovata veste di moralizzatore pentito. Solo in questi termini sembra allora potersi discorrere in merito alla recente apparente “conversione”, che nasconde, verosimilmente, o vorrebbe nascondere, una difficoltà interpretativa tutta interna al Movimento 5 Stelle, il quale non riesce ancora a rinvenire la “quadra” siccome ideologicamente dilaniato dalla continua ed altalenante schermaglia tra le diverse anime che lo sorreggono.
Giuseppina Di Salvatore
(Avvocato – Nuoro)