Un’altra settimana è trascorsa, e un ennesimo scontro politico, se tale e di tale consistenza veramente sia stato, sembra essersi consumato. Da una parte, Matteo Salvini, segretario della Lega, vicepremier, e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, dall’altra Maurizio Landini, sindacalista e segretario generale della Cgil, per molti, ma non per tutti, espressione alternativa o forse concorrente del Partito Democratico.

Che sia stato il pensiero di quanti, probabilmente in maniera pretestuosa, abbiano inteso necessariamente “colorare” un intervento di rilievo sociale che di politico, in sé e per sé considerato, poco o nulla pareva avere, ovvero, semplicemente l’occasione per recuperare visibilità perdute, da parte di un ministro dell’attuale maggioranza, probabilmente, alla fine della fiera, poco importa. I protagonismi, non sempre, anzi quasi mai, paiono essere utili, e piuttosto possono divenire, al contrario, motori scatenanti di perdita di quel medesimo consenso per coloro che di quel consenso (si perdoni l’inevitabile gioco di parole) hanno sempre fatto una bandiera.

Al di là dello scontro mediatico, pertanto, due aspetti, più che le espressioni soggettive del confronto, sono emersi: l’estensione del diritto di sciopero e la consistenza della sua potenziale limitazione, e l’opportunità, tutt’altro che politica, di una “precettazione” calata dall’alto in forza della quale lo sciopero dello scorso venerdì ha subito una importante limitazione oraria. Se sia stato doveroso, o anche soltanto opportuno, oppure non necessario, ricorrere ad un provvedimento amministrativo straordinario introdotto nell’ordinamento italiano al fine di coniugare il diritto di sciopero con ogni altro diritto di godimento della persona, entrambi costituzionalmente garantiti, non è semplice sostenerlo. Di fatto, l’esercizio di ogni diritto andrebbe garantito con la minore compressione possibile di quello, parimenti importante, che gli funge da contrappeso. A significare che, probabilmente, ad apparire “inopportuna” non sembra tanto essere stata la pura e semplice limitazione oraria dello sciopero, quanto piuttosto il “tono” con cui l’Autorità, personificata da Matteo Salvini, abbia ritenuto di dover intervenire nella circostanza e che, quasi inevitabilmente, sembra aver innescato la miccia di uno scontro che, anche solo in apparenza, ha visto contrapposti il popolo dei lavoratori, comunque esprimenti il loro disappunto nei confronti di una manovra per essi deludente e che, con buona verosimiglianza, avrebbero desiderato ricercare un dialogo costruttivo con le massime espressioni del governo centrale, e quel medesimo governo centrale.

Intanto, perché, a ben considerare, l’esercizio del diritto di sciopero consiste proprio nella astensione collettiva dei lavoratori dallo svolgimento della prestazione al fine di portare avanti la propria rivendicazione per il conseguimento della tutela di una serie di diritti. Quindi, perché, sebbene lo sciopero sia senz’altro un diritto costituzionalmente garantito, tuttavia il disposto dell’articolo 40 della Costituzione è chiaro nel disporre espressamente che quel medesimo “diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Inoltre, perché, sul piano giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, nella sua Sezione Lavoro, con propria sentenza, fin dall’anno 2004, aveva avuto modo di sostenere, salvo errore, non solo che “il diritto di sciopero” veniva riconosciuto direttamente dall’articolo 40 della Costituzione ai lavoratori tutti, ma anche che quel medesimo diritto non pareva incontrare “limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica(va) e dell'intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti”. Infine, perché, ad ogni buon conto, non potrebbero costituire, all’inverso, limiti all’esercizio del diritto di sciopero, mere valutazioni relative alla fondatezza, alla ragionevolezza o alla importanza degli obiettivi perseguendi.

Dicendolo altrimenti: era davvero necessario andare a ricercare lo “scontro” mediatico di connotazione politica in relazione ad una manifestazione che, altrimenti, e molto probabilmente, sarebbe rientrata in una serena normalità? Può l’accaduto connotarsi alla stregua di un contenzioso di natura politica tra maggioranza e opposizione di governo? E se tale fosse stata veramente la consistenza di quella specifica circostanza, quale sarebbe stata la posizione del potere centrale? Gli interrogativi, tutt’altro che scontati, non sono trascurabili nei loro esiti, perché, anche a tutto voler considerare e concedere, l’impressione ultima che se ne ritrae sembra quella per cui si sia voluto ricercare un contenzioso di carattere politico all’interno di un contesto in cui il protagonista avrebbe solo ed unicamente dovuto essere il Popolo dei Lavoratori. Tanto più allorquando Maurizio Landini, nella circostanza, era espressione di circa sessantamila lavoratori (che sono tutt’altro che pochi) che erano motivati dall’intento di esprimere le proprie lagnanze verso una manovra che percepivano come poco utile al miglioramento delle loro condizioni. Ed ancor più allorquando, il ministro dei Trasporti, in quella medesima circostanza, pur esprimendo sul piano squisitamente tecnico giuridico un concetto oltremodo corretto nel tentativo di bilanciare diritti contrapposti (quello allo sciopero e quello alla serena fruizione dei servizi essenziali), probabilmente pare averlo fatto in maniera poco consona, andando ad ingenerare uno “scontro” (forse anche per certi versi inconsapevole) tra il ministero di cui risulta essere espressione soggettiva e un gruppo oltremodo corposo di lavoratori, così “facendo il gioco” (l’ipotesi è solo argomentativa chiaramente) di una sinistra in fondo assente nel contesto considerato per non essere stati presenti in piazza in occasione dello sciopero né Giuseppe Conte, né Elly Schlein. Probabilmente, l’unica a dover intervenire in occasione di quello sciopero, e con toni rassicuranti, avrebbe dovuto essere Giorgia Meloni, quale espressione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quindi del Governo, perché se è vero, come è vero, che per Piero Calamandrei lo sciopero era “strumento stimolatore del miglioramento sociale” e per Giuseppe Pera, quel medesimo diritto, era “strumento di progressiva elevazione sociale del lavoro”, allora, è altrettanto vero che, proprio in ragione della funzione sociale dello sciopero, l’espressione massima della maggioranza di governo, nella persona di Giorgia Meloni, avrebbe dovuto far sentire la propria vicinanza ai tanti lavoratori che, anche a prescindere dal sindacato di appartenenza, hanno sentito l’esigenza di dover esprimere il proprio malcontento, ponendo così nel nulla ogni contestazione venutasi a creare tra il segretario della Cgil e il ministro dei Trasporti, che con le specifiche esigenze dei tantissimi lavoratori intervenuti sembrano aver avuto poco a che vedere, ma piuttosto hanno, all’inverso, distolto l’attenzione rispetto alle finalità della manifestazione di piazza in cui unico protagonista avrebbe dovuto essere il Popolo.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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