Si avvicina il grande appuntamento elettorale, quello, per intenderci, in cui il Popolo Sardo sarà chiamato ancora una volta alle urne per la scelta del nuovo Presidente della Regione.

I due differenti schieramenti in campo, centro-destra e centro-sinistra, se tale e di tale consistenza dovesse realmente attestarsi il termine ed il paradigma del confronto in ragione delle specificità soggettive esistenti all’interno di ciascuno di essi, paiono cominciare a sondare le proprie potenzialità non senza manifestare, più o meno apertamente, perlomeno così parrebbe, criticità e nodi da sciogliere in ragione delle scelte che, da ambo le parti, saranno chiamati a compiere e che, per quanto maggiormente possibile, dovranno essere tali da incontrare il gradimento del corpo elettorale che si accinge ad affrontare questo nuovo impegno all’esito di un quinquennio reso assai difficile dall’evento pandemico e dalla sua gestione prima, e dagli effetti del conflitto russo-ucraino di poi. 

Peraltro, solo qualche giorno fa, il Consiglio Regionale si è determinato ad avviare, concretizzandola, la riforma degli enti locali, risalente all’anno 2021, che porta in aumento il numero delle Province oltre che quello delle Città Metropolitane. Contestualmente, lo stesso Consiglio, sembra pure avere approvato l’articolo specifico del cosiddetto “Collegato” che aggiorna, per così dire, i vari termini, tra cui anche quello ritenuto utile alla convocazione delle elezioni di secondo livello, posticipato al giorno 30 giugno 2024.

Malgrado, dunque, gli esiti ben noti del referendum, la Riforma parrebbe aver trovato il suo punto di approdo. Anche a voler prescindere, sia pure non si veda come, da ogni considerazione in merito alla opportunità pratica e giuridica di una scelta siffatta, la circostanza, considerata all’interno del contesto pre-elettorale, non pare proprio di quelle trascurabili, soprattutto sul piano degli effetti concreti che sembrerebbe idonea a riflettere sull’umore del corpo elettorale il quale vede cancellato, e/o comunque posto nel nulla, quasi alla stregua di un colpo di spugna, l’esito di una scelta condivisa, che nell’anno 2012 ne aveva stigmatizzato il “sentimento” al riguardo, il quale, invero, non pare essere mutato. Tanto più allorquando l’eventuale “posizionamento” in materia dei partiti costituenti i vari schieramenti possa apparire, probabilmente, come determinante nel dirigere le motivazioni di un voto futuro ma non troppo lontano, che si attende estremamente imprevedibile anche in ragione dell’eventuale percentuale di possibile “astensionismo”, il quale, a ben considerare, rappresenta una variabile di non scarsa importanza all’interno di un contesto geografico caratterizzato da fenomeni importanti di spopolamento. E ancor di più allorquando, rappresentando il “referendum”, unitamente alla “iniziativa legislativa popolare” e alla “petizione”, uno strumento fondamentale di cosiddetta “democrazia diretta”, lo stesso si sia posto, a suo tempo, proprio in tema di Province, quale strumento di una soluzione maggioritaria che, all’attualità, parrebbe proprio essere stato disatteso.

Dicendolo altrimenti: il punto nodale, per non voler dire cruciale, non sembrerebbe porsi negli stretti termini del “province sì e province no”, quanto piuttosto in quello, assai più imponente, del “valore” politico, che il complesso degli esponenti partitici ha inteso attribuire a quella volontà espressa, ispirata e sostenuta “ai” e “dai” principi di partecipazione popolare al governo del territorio.

Intendiamoci meglio: se è vero, come è vero, che il processo di riforma del sistema delle province è iniziato nel lontano anno 2012, con l'esito positivo dei due referendum regionali per il superamento delle province; se dunque ancora è vero che siffatti  referendum avendo avuto esito positivo avevano a loro volta dato il via ad un processo articolato di riforma, perché ad oggi il Consiglio Regionale ha ritenuto di doverle reintrodurre?

Probabilmente sarebbe stato necessario un confronto esplicativo con il Popolo Sardo utile a giustificare, sul piano pratico del governo del territorio, e a distanza di anni, le ragioni di una scelta di tal fatta. Al di là dei vari ragionamenti che si potrebbe essere indotti a condurre, ad emergere, parrebbe essere proprio la necessità di elaborare un inedito paradigma di governo del territorio all’interno di una Regione che, per il suo contesto morfologico, è sempre stata di complessa gestione. Fermo restando, probabilmente, che le singole specificità dell’“hinterland” sardo, lungi dal poter concretamente essere affrontate e risolte partitamente dovranno, probabilmente, essere gestite a livello centrale, sia pure sempre sul piano regionale, onde evitare disparità di trattamento che più che risolvere andrebbero forse a complicare un contesto già di per sé critico sul piano gestionale.

E tutto considerato, con buona verosimiglianza, la predisposizione di oculati programmi di governo del territorio, non pare poter non tenere in debita considerazione le esigenze ed i “desiderata” di un corpo elettorale che attende risposte importanti nell’ambito della sanità e dei trasporti, veri punti nodali in ordine ai quali, chiunque, tra i contendenti, riesca a fornire soluzioni praticabili, potrebbe avere la meglio all’esito della contesa elettorale.

Detto altrimenti: non pare essere tanto importante che la scelta dei prossimi candidati alla Presidenza della Regione Sardegna venga “suggerita” da Roma o dal contesto partitico interno, trattandosi forse di circostanze involgenti processi decisori fini a se stessi, quanto piuttosto che le figure prescelte siano da ambo le parti idonee e capaci a ricoprire la funzione, facendosi parte attiva nella realizzazione di programmi rispettivamente condivisi per il buon governo di una Regione ricchissima in termini di potenzialità. Come sempre il Tempo sarà Signore e offrirà risposta a tutte le perplessità del momento. Non resta che attendere.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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