E se non fosse solamente una questione di rappresentanza ma fosse, invece, più precisamente, e anche, una questione di rappresentatività? Se non si trattasse unicamente di vedersi garantito un rappresentante sardo in Europa, ma si trattasse anche di garantire la capacità effettiva e reale di qualsivoglia rappresentante nostrano di essere portavoce e promotore degli interessi della volontà del popolo sardo al cospetto di una Europa che si dice disponibile a garantire le necessità delle regioni insulari e periferiche, ma assai poca attenzione (forse) pare dedicare all’Isola sarda?

Intendiamoci: la ragione del malcontento che da diversi anni accompagna la competizione elettorale per la conquista del seggio in Europa si annida, ora come negli anni trascorsi, nella dinamica dei cosiddetti “accorpamenti” tra territori che, tutto considerato, parrebbero presentare, come nei fatti presentano, caratteristiche demografiche, morfologiche e linguistiche assai differenti e niente affatto assimilabili. Ed ancora intendiamoci meglio: non si può pretendere di ridurre il tutto ad un fatto squisitamente numerico, siccome un diritto, di qualunque consistenza e sostanza, checché se ne voglia dire, deve essere garantito nella sua pienezza tanto ad un unico singolo, quanto ad una intera comunità a prescindere dalla sua consistenza numerica.

Nei giorni scorsi, grazie ai media locali, si è appresa la notizia che, per iniziativa del senatore sardo in forze al Partito Democratico, Marco Meloni, si è dato avvio, in Senato, all’iter avente ad oggetto la proposta di legge per la istituzione della circoscrizione Sardegna in vista delle prossime e vicinissime elezioni dell’Europarlamento del 2024.

Parrebbe volersi garantire, in questo modo, e perlomeno, la presenza di due esponenti sardi. Nulla quaestio: se solo non fosse che, anche solo numericamente parlando, la voce sarda sarebbe probabilmente, e comunque, meno “incisiva” (è solo un’ipotesi di carattere argomentativo ma potenzialmente realistica) rispetto a quella dei “fratelli” siciliani, i quali, sempre sul piano numerico, anche in considerazione della densità demografica ivi insistente, sarebbero pur sempre maggiormente “garantiti” e rappresentati.

Insomma: se una riforma vogliamo attuare, quanto meno sul piano nazionale, occorre rivedere in maniera decisa e precisa le condizioni poste dalla legge numero 18 del 1979 la quale, fino ad oggi, è stata chiamata a disciplinare la dinamica della ripartizione dei collegi, senza tuttavia garantire il doveroso e quanto mai opportuno principio di equa rappresentanza ai sardi. E le ultime competizioni elettorali di rilievo europeo ne sono una chiara dimostrazione pratica. Lo si osserva da tempo a livello territoriale.

La Sardegna non può continuare a condividere un collegio insulare unico con la Sicilia se non si vuole continuare a patire ingiuste esclusioni dalle sedi decisionali soprattutto allorquando la massima esplicazione del principio di uguaglianza risieda proprio nel rispetto della diversità.

Dicendolo altrimenti, e probabilmente potrà apparire agli occhi dei più come una chimera, alla Sardegna dovrebbe essere garantito a priori, e proprio in ragione della sua maggiore ed indiscussa “criticità” sul piano geografico e morfologico, lo stesso numero di rappresentanti garantito alla comparente Regione Siciliana.

Se un cambiamento si vuole attuare, allora non sia un cambiamento di sola facciata. Si “pretenda”, nel rispetto delle massime istituzioni, la par condicio tra realtà insulari per assicurare il riequilibrio delle condizioni di partenza.

Sebbene siano pur sempre realtà genericamente insulari, la insularità sarda ha sempre presentato connotazioni assai differenti rispetto a quella siciliana, la quale, tutto considerato, pure geograficamente argomentando, essendo praticamente “attaccata” fisicamente alla penisola (la distanza è davvero minima), non presenta quella condizione di marginalità morfologica che invece penalizza gravemente la nostra realtà territoriale per la quale non pare essersi rinvenuta ad oggi una soluzione che possa dirsi soddisfacente. Intanto, perché primariamente sarebbe necessario intendersi sugli obiettivi che la Sardegna, regione insulare rispetto alla Penisola ma periferica rispetto al complesso europeo, intende perseguire già nel breve termine. Quindi, perché, a ben considerare, sembrerebbe prioritaria la trattazione della questione relativa alla cosiddetta “continuità territoriale”, che deve essere garantita a condizioni di assoluta parità per poter arginare la condizione di “isolamento” geografico. Infine perché, per garantire fino in fondo la rappresentatività del Popolo Sardo in Europa, sarebbe opportuna una iniziativa sinergica che vedesse impegnato tanto il Consiglio Regionale Sardo nella sua interezza compositiva, quanto il Governo Italiano attraverso la Presidenza del Consiglio, perché si sa, è pur sempre l’unione che fa la forza, e Roma, per prima deve farsi portavoce decisa e decisiva degli interessi del suo territorio nazionale nella sua interezza.

Senza nulla voler togliere agli amici siciliani, non si può negare che la questione sarda, in tutta la sua nota complessità, necessiti di attenzione specifica non fosse altro che soltanto per la sua posizione geografica. Occorrerebbe riconquistare la consapevolezza dell’importanza di ricoprire un ruolo tanto a livello nazionale, quanto a livello comunitario e internazionale considerata anche la nostra posizione strategica nel Mediterraneo.

Difficile dire se i tempi siano maturi per il conseguimento dell’obiettivo in discorso, specie perché le prossime competizioni elettorali per la composizione dell’Europarlamento sono vicinissime, e il tempo parrebbe, allo stato, essere più tiranno che amico.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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