Come ogni anno, da anni, con cadenza stagionale, e con forza sempre più distruttrice, si ripete in maniera sistemica l’ennesimo eco-dramma: la Sardegna brucia, e con essa se ne vanno in fumo ettari ed ettari di verde, di patrimonio prezioso della nostra collettività, lasciando nella disperazione e nel bisogno intere famiglie che proprio su quel “verde” poggiavano ancora oggi le condizioni della loro stessa sopravvivenza. Questa volta è toccato principalmente alla zona del cosiddetto “Montiferru”, nell’Oristanese, ma altri, numerosissimi focolai sparsi per tutto il perimetro del territorio regionale, gli hanno fatto da macabra cornice. La Procura della Repubblica di Oristano, come era lecito attendersi, ha aperto un apposito fascicolo: e l’ipotesi di reato sembrerebbe essere quella di “incendio colposo aggravato”, ma, stando alle ultime notizie, sembrerebbero essere spuntati gli indizi di una inequivocabile origine dolosa. Ed è pure scattata, come ogni anno, non solo la solita e doverosa mobilitazione per portare aiuti e sostegno a coloro che hanno perso tutto, ma anche la solita “passerella” posta in essere, ed animata, da una classe politica incancrenitasi oramai in una condizione di inefficienza strutturale, e sempre più ridottasi, sembrerebbe, a fare la propria pallida comparsa a cadenze periodiche di circostanza per non essere riuscita “prima”, e non riuscire neppure “adesso” (sembrerebbe, ed a prescindere dall’Ordine del giorno votato ieri, 28 luglio, all’unanimità dal Consiglio Regionale, diretto alla istituzione un tavolo permanente con gli amministratori delle comunità coinvolte), ad andare al di là, ed oltre, le pure e semplici “buone intenzioni”, traducendo finalmente in azione concreta quelle che sarebbero iniziative utili ad evitare, e/o comprimere, altri eventi avversi futuri di qualsivoglia natura. Tutto sembrerebbe, e speriamo di no, volersi ridurre all’ottenimento della decretazione dello “stato di emergenza”: importante nell’immediato, questo è certo, ma per nulla risolutivo, e/o utile, nel lungo periodo se non accompagnato dalla predisposizione di apposite misure di prevenzione e di seri e mirati programmi di intervento. Mi domando, e non senza sentire una profonda amarezza nell’animo: considerata la ciclicità del fenomeno, e la solita incomprensibile “impreparazione” ad affrontarlo e a farvi fronte prontamente, quale convenienza possa mai esserci, se taluno una convenienza in tal senso la abbia, nel fatto che la Sardegna, “sa Terra Amada Nostra”, continui a bruciare nell’impotenza generale della popolazione di volta in volta colpita. E’ risaputo, infatti, che solo una minuscola percentuale di incendi può essere considerata “naturale”, ossia cagionata da eventi cosiddetti “ambientali”, e per ciò stesso imprevedibili, che nulla hanno a che vedere con l’azione dell’uomo. Ed è altresì risaputo che la Sardegna, per molti, e banalmente, solo “Isola felice delle vacanze”, con il sopraggiungere dei mesi più caldi, si trasforma in un “inferno di fuoco” scatenato da piromani senza scrupoli che sembrano voler fare dei “roghi” un vero e proprio “opificio del terrore”. Proprio per questo, io credo fermamente che, anche a prescindere da singoli interessi individuali, che pure potrebbero verosimilmente sussistere, ogni possibile tentativo di sciogliere questo enigma, perché di “enigma ideologico” potrebbe con buona approssimazione discorrersi (e non senza sincera preoccupazione), sia destinato a scontrarsi, innanzitutto, con le gravissime carenze endemiche e fisiologiche legate alla nostra stessa condizione geografico-territoriale. Gli incendi estivi sono divenuti un tratto caratteristico della nostra quotidianità stagionale, e di volta in volta sembrano riproporsi con una forza distruttrice sempre più intensa e caratteristica anche perché non si fa, e non si è fatto mai nulla (per quanto mi consta e salvo errore) a livello territoriale, per prevenirli e/o ostacolarli. Il problema, dunque, sembra essere a monte, ed appare strettamente riconnesso all’incapacità delle nostre classi dirigenti di affrontare e risolvere i problemi endemici delle nostre “zone interne”, divenute oramai sempre più critiche e per ciò stesso dimenticate, sul piano degli interventi e della programmazione generale, dalla stessa politica regionale. Intanto, perché da tempo oramai, la nostra Isola si ritrova ad affrontare con difficoltà crescente un interminabile e doloroso processo di svuotamento delle campagne, e dunque di conseguente abbandono delle stesse le quali, tra boschi incolti e macchia mediterranea dimenticata, strade rurali lasciate a se stesse e prive di qualsivoglia opportuna manutenzione (e, pertanto, private del loro potenziale ruolo di argine cosiddetto “para-fuoco” alle eventuali fiamme), e abbandono della vegetazione esistente, costituiscono l’habitat favorevole al propagarsi degli incendi. Quindi, perchè, come in altra occasione ho già avuto modo di osservare, la carenza stessa di qualsivoglia forma di manutenzione pubblica delle aree interessate, favorisce il divampare ed il dilagare degli incendi i quali ben potrebbero essere definitivamente debellati se solo, finalmente, la Regione Sardegna, e per essa i singoli comuni, si adoperassero per la creazione di squadre speciali addestrate e finalizzate non solo ad eseguire una accurata mappatura delle aree maggiormente interessate dal fenomeno, ma anche a porre in essere, nel corso dell’intero anno, e tutti gli anni, serie e motivate attività di coordinamento con gli addetti alla sorveglianza dei luoghi che possano disporre, a loro volta, di effettivi punti di controllo, stabili e mobili, sul territorio medesimo al fine di favorirne anche la corretta manutenzione. Infine, ma tanto altro ci sarebbe ancora da dire, perché la programmazione di interventi mirati imporrebbe, finalmente, pure la creazione di stabili posti di lavoro e, quindi, il contrasto della povertà, divenuta purtroppo tratto caratteristico e drammatico della nostra realtà isolana destinata, di questo passo, a cadere nel buco nero dell’insignificanza. Nel momento in cui la politica regionale dovesse omettere di intervenire concretamente in tal senso, si paleserebbe una mancanza di volontà preoccupante di difficile fraintendimento interpretativo. Lo ho già detto e mi piace ribadirlo ancora una volta: prevenire gli incendi è possibile ed è di vitale importanza per il rilancio economico dell’Isola. Seguendo pure le indicazioni dell’Unione Europea sul punto (che nonostante le criticità costituisce sempre un “faro nella nebbia” quanto meno sul piano delle linee di indirizzo) e trasponendole sul piano locale, dovrebbe essere attivato e/o implementato un vero e proprio sistema di protezione civile di carattere squisitamente regionale che sia in grado di coinvolgere, attraverso un impegno condiviso e costante, le diverse comunità locali le quali, considerata l’area ridotta di propria specifica pertinenza, possono garantire un più valido contributo al fine di rendere più sicuro il territorio studiando, all’uopo, anche forme alternative di un suo utilizzo economico in funzione produttiva. La Sardegna, oggi più che mai, necessita di rinvenire nuove ed autentiche certezze da crearsi anche attraverso la costante attività di monitoraggio del territorio, forse costosa, ma certamente utile. Può sembrare autentica ed illusoria utopia. Ma da qualche parte si dovrà pur cominciare.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

© Riproduzione riservata