Riformismi pre-elettorali, sì e no tra propaganda e attualità
La questione “premierato” nel governo Meloni e nel contesto costituzionale italianoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Stando a quanto si apprende dalle notizie battute dalle maggiori agenzie di stampa, parrebbe che Maria Elisabetta Alberta Casellati, facendo seguito alle indiscrezioni trapelate sulla propria attività riformistica ministeriale, abbia chiarito che «non svuoterà mai le prerogative del Capo dello Stato».
La contingenza attuale, le necessità sul piano socio-economico, le difficoltà profetizzate di una legge di bilancio che si annuncia fin d’ora “prudente”, parrebbero contribuire a rendere la discussione sul cosiddetto “premierato” (impropriamente detto) del tutto estemporanea. E probabilmente come tale può ben essere percepita dalla generalità dei consociati.
Ma, al di là delle indiscrezioni e delle conseguenti precisazioni, anche a voler prescindere dalla tempistica probabilmente poco opportuna di una riforma costituzionale che sarebbe di massimo respiro, e che, in quanto tale, necessiterebbe non soltanto di essere sottoposta a referendum popolare per compulsare la volontà reale degli italiani sul punto (oltre che il loro interesse specifico in argomento in ragione delle “prerogative” di carattere politico e giuridico in discussione), e anche a voler ancora prescindere dalla necessità contingente, ma anche futura di una riforma di siffatta consistenza che ad oggi non parrebbe essere stata palesata con determinazione, chiarezza e trasparenza, quale ne sarebbe la rilevanza concreta proprio sul piano delle dinamiche di governo? Quale sarebbe la ragione stringente, e non altrimenti prorogabile, che ne imporrebbe la discussione nel breve termine, ammesso e forse non concesso che l’argomento interessi la società civile chiamata ad oggi ad affrontare le esigenze della quotidianità? Sarebbe davvero possibile, alias compatibile con il nostro sistema costituzionale, prima ancora che utile (e bisognerebbe stabilire per chi in effetti sarebbe utile e per porre rimedio a cosa) un modello di “premierato” sia pure “italianizzato” in salsa tricolore? Anche perché, non si dimentichi, occorrerebbe (e lo si dice solo ed unicamente sul piano argomentativo essendone tornato alla ribalta il tema) mettersi d’accordo (e si fa per dire) sulla corretta individuazione dei meccanismi costituzionali attraverso i quali conformare e sostanziare la cosiddetta “struttura” di governo. E non solamente quella, ammesso e non concesso che già una operazione di tal fatta sia di agevole realizzazione, posto che, nell’ipotesi, sarebbe necessario rivolgere l’attenzione, e non solo l’attenzione, ai rapporti di forza tra partiti politici in considerazione del loro nuovo ruolo rafforzato, ma anche, e di conseguenza, alle dinamiche di selezione interna dei potenziali candidati che proprio da quella stessa scelta trarrebbero primariamente la loro legittimazione. Il tutto senza considerare, e non si potrebbe neppure non considerarlo, che al meccanismo di rafforzamento delle istituzioni interessate, ossia governanti, le quali sarebbero deputate a realizzare l’unitarietà e l’efficientismo della azione di governo, dovrebbe corrispondere, in un sottile quanto certissimo contro-bilanciamento di contrappeso, il contestuale ed imprescindibile rafforzamento di tutte le istituzioni cosiddette di garanzia.
Sicché: lungi dal voler procedere semplicisticamente alla modifica dei soli articoli 88, 92 e 94 della nostra Carta Costituzionale, sarebbe davvero necessario rivedere l’impianto costituzionale nella sua interezza proprio in ragione del fatto che una tale riforma, di cui non parrebbe invero esserci alcun bisogno, imporrebbe volenti o nolenti un mutamento radicale del “punto di vista”, ossia del modo di concepire gli assetti della politica e dei diversissimi meccanismi di governance. Intendiamoci dunque e allora: con il modello britannico, il sistema parlamentare italiano non ha proprio nulla a che vedere, né il primo può essere ritratto ad esempio per la costruzione di un simil modello italiano che, proprio perché tale, sarebbe unicamente la pallida e massimamente imperfetta rappresentazione dismorfica di un “impianto” tanto fragile nella sua consistenza quanto fallace nella sua azione ed operatività.
Il binomio tra “premierato” e “sistema parlamentare”, tutt’altro che di agevole interpretazione e soluzione, non è meccanismo di attuazione automatica, e sarebbe un grave errore procedimentale trattarlo come tale, siccome, come probabilmente pare corretto che sia, in ogni Stato a base costituzionale e democratica, le istituzioni di governo parrebbero essere chiamate, nella loro funzione, a corrispondere ad una duplice esigenza proveniente da un corpo elettorale che, considerati gli indici di assenteismo registrati nelle ultime tornate elettorale, appare stanco e demotivato.
Si tratta, in altri termini, tanto della esigenza di sapersi efficientemente rappresentato nella sua richiesta di buon governo condotto in nome del popolo e per il popolo, avendone ben chiare le necessità e provvedendo alle stesse, e quella, non meno rilevante, di poter esprimere il proprio pensiero partecipativo nel contesto delle decisioni attraverso la scelta dei propri governanti. Ma una esigenza concreta di cambiamento non parrebbe proprio esserci anche perché, a volerla dire tutta, con il sistema attuale, laddove sussista e persista una fiducia da parte del Parlamento, è possibile garantire la stabilità prevedendo, nell’ipotesi patologica, e come accaduto negli ultimi anni, un governo diverso con un premier diverso pur in assenza di elezioni. Se questo non fosse un vantaggio delle democrazie parlamentari, davvero sarebbe difficile capire di cosa altro si starebbe parlando. Una eventuale riforma costituzionale prevedente una sorta di “premierato” (impropriamente detto) potrebbe unicamente, a tutto voler considerare, rafforzare l’instabilità governativa con ogni conseguenza sul piano della fattibilità delle riforme e dell’azione di governo.
A chi mai potrebbe giovare? Probabilmente a nessuno, neppure a chi o coloro vorrebbe/ro introdurlo. La formula “premierato”, forse accattivante sul piano della propaganda politica per essere di sicuro impatto mediatico, ma altrettanto vuota di significato, perlomeno allo stato attuale parrebbe essere tale, sembrerebbe apparire irriproducibile nei suoi termini tecnici (neppure analiticamente individuati per quanto consta) nel panorama costituzionale italiano dettagliatamente normativizzato.
Insomma, non pare essere certo il momento per discutere una tale riforma, e pure nel prossimo futuro, lo stesso governo, se continuerà a persistere nella carica, potrebbe trovarsi probabilmente nella necessità di abbandonare il progetto. Frattanto, sembra essere opportuno restare ancorati al presente per risolvere le questioni stringenti di carattere economico legate alla quotidianità.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro