Da Berlusconi a Draghi, da Casini a Cartabia, da Amato a Prodi, da Segre a Casellati passando per Gianni Letta e – sì, anche lui – Sergio Mattarella.

Impazza il totonomi per il prossimo inquilino del Quirinale ma, come spesso accade, quello che ha più chances è il nome che non è ancora stato fatto.

Ai primi di gennaio il Parlamento si riunirà in seduta comune (assieme a tre delegati per ogni Regione, con l’esclusione della Valle d’Aosta che ne ha solo uno) per eleggere il Presidente della Repubblica. Un voto che potrebbe avere anche ripercussioni importanti sul governo e sulla durata dell’attuale legislatura, visto che tra i papabili c’è anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, che nel caso dovrebbe lasciare Palazzo Chigi.

COME FUNZIONA L’ELEZIONE – Il voto è segreto. Nei primi tre scrutini il presidente viene eletto con la maggioranza dei due terzi, dunque c’è bisogno di un largo accordo tra le forze politiche. Cosa avvenuta solo due volte nella storia repubblicana: per Cossiga nel 1985 e Ciampi nel 1999. Non fa testo invece il primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, anch’egli scelto al primo scrutinio, perché indicato dall’Assemblea costituente per durare pochi mesi.

In tutte le altre occasioni l’elezione è arrivata dal quarto scrutinio in poi, quando basta la maggioranza assoluta. La più lunga è stata quella di Giovanni Leone (1971), per cui sono stati necessari 23 scrutini. Il più votato? Sandro Pertini nel 1978, ottenne l’83,6% dei voti ma ci vollero ben 16 scrutini.

Sia Napolitano che Mattarella sono stati eletti al quarto scrutinio, a maggioranza assoluta.

I NOMI – Cominciamo da quello intorno al quale verte il futuro di queste legislatura. Mario Draghi: un nome su cui l’accordo sarebbe sin troppo facile, se non fosse attualmente l’inquilino di Palazzo Chigi. Garante dei fondi del PNRR, di un patto trasversale tra i partiti che senza di lui sarebbe molto difficile. Quasi tutti lo vogliono presidente del Consiglio fino al 2023, anno delle politiche. Ma c’è il “teorema Giorgetti”: il numero 2 della Lega ha detto esplicitamente che Draghi può andare al Quirinale e gestire di lì anche la partita del governo. Con l'attuale ministro dell’Economia Franco a Palazzo Chigi, ipotizzano alcuni. L’idea di Giorgetti è una "forzatura” della Costituzione che non piace a tutti.

Poi c’è Sergio Mattarella. Il diretto interessato ha citato Giovanni Leone (“Anche lui chiese la non rieleggibiltà del Presidente della Repubblica”) per allontanare l'ipotesi di un suo bis. La Costituzione non lo vieta, l’unico precedente al momento è quello di Giorgio Napolitano, che si dimise a un anno dall’inizio del suo secondo mandato. E se alla fine l’attuale Capo dello Stato cedesse alle pressioni dei partiti? Un nome che ancora non si può escludere del tutto, per due motivi. Mattarella piace a tutti, da destra a sinistra. E, soprattutto, un suo bis potrebbe lasciare Draghi a Palazzo Chigi fino a fine legislatura e allo stesso tempo spianargli la strada per il Quirinale in un futuro non molto lontano. Molto probabile infatti che Mattarella, se rieletto, si dimetterebbe dopo un anno come ha fatto Giorgio Napolitano. Allora c’era la crisi economica e dello spread a giustificare un secondo mandato, oggi ci sono la pandemia e la gestione dei fondi del PNRR.

Silvio Berlusconi: il centrodestra ha fatto il suo nome con largo anticipo, e non è un buon segno. Lui ci spera ma sembra non crederci più di tanto. D’altronde il nome è divisivo, certamente non convince centrosinistra e Movimento 5 Stelle. Però, in caso di mancato accordo tra i partiti, il centrodestra con l’aiuto di Italia Viva potrebbe trovare i numeri per eleggerlo a gran sorpresa. Era a questo che si riferivano molti esponenti del centrosinistra quando, a proposito del voto sul ddl Zan, hanno parlato di “prove generali” per l’elezione del presidente della Repubblica.

Pierferdinando Casini: giovane, trasversale, può giocarsi le sue carte e da anni sta lavorando per questo. Una vita nella coalizione di centrodestra, nel 2018 è stato eletto in Parlamento con il Pd di Matteo Renzi. 

Giuliano Amato: buono per tutte le stagioni, l'ipotesi Amato spunta sempre ogni volta che c'è una carica istituzionale vacante da occupare, tanto che esiste persino una pagina Facebook satirica che si chiama “l’ipotesi Amato”. Quante volte si è fatto il suo nome per un eventuale governo di larghe intese? L'età (83 anni e mezzo) non gioca a suo favore.

"Non ci penso neanche”, ha detto Romano Prodi, impallinato dal suo stesso Pd e dal famoso tradimento dei 101 in occasione dell’ultima elezione del Presidente della Repubblica. Ma in fondo ci spera? Chissà… È un buon nome per il centrosinistra, raccoglierebbe anche i voti del Movimento 5 Stelle. Ma se non ce l’ha fatta sette anni fa è ancor più difficile che ci riesca oggi. “Il candidato ideale non è quello che ha più voti, ma quello che ha meno veti”, ha detto a proposito della prossima elezione.

Un altro nome che circola, non con molta insistenza (e questo gioca a suo favore) è quello di Gianni Letta. Il gran tessitore di Silvio Berlusconi potrebbe prendere i voti dei centristi. E mai dimenticare che il segretario del Pd è suo nipote.

Poi c’è “opzione donna”, che nulla a che fare con il regime pensionistico. Diversi sono stati gli appelli per far salire la prima donna al Colle.

Quella che ha più possibilità è l'apprezzatissima Marta Cartabia. Giovane (58 anni), trasversale e con un importante profilo istituzionale, è stata presidente della Corte Costituzionale. Oggi è ministro della Giustizia del governo Draghi, giustizia di cui ha una visione totalmente diversa da quella di Bonafede e del Movimento 5 Stelle.

Difficile che Maria Elisabetta Alberti Casellati la spunti. Il suo è tra i nomi femminili che circolano, e non potrebbe essere altrimenti visto che è la seconda carica dello Stato. Ma è tutt’altro che trasversale: per via del suo passato troppo “berlusconiano” non è amata a sinistra.

Infine, Liliana Segre che ha declinato da gran signora un appello a suo favore, dicendosi non disponibile: “Ho 91 anni e non ho le competenze”, ha tagliato corto.

Ma come spesso accade quello che ha più possibilità è l'outsider. Il candidato il cui nome non è ancora stato fatto. La carta a sorpresa che spunta all’improvviso, giocata dal quarto scrutinio in poi. Così fu con Mattarella, tirato fuori come un jolly da Matteo Renzi mentre sembrava ormai distante anni luce dalla vita politica del Paese. Nei primi tre scrutini ottenne 4 o 5 voti, al quarto 665. Analoga fu anche l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro nel 1992.

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