Era un fallimento annunciato. E invece il ministro Francesco Boccia taglia il primo traguardo nella corsa a tappe per l'autonomia del Nord: il 28 novembre le regioni hanno detto sì alla sua legge quadro che ingabbia le pretese di Lombardia, Veneto ed Emilia in un meccanismo di tutela dell'uguaglianza (almeno teorica) tra i vari territori. I tre governatori padani otterranno i poteri che reclamano, ma all'interno del sistema ideato dal ministro per gli Affari regionali e basato sui cosiddetti Lep, sigla con cui converrà familiarizzare: sta per Livelli essenziali delle prestazioni, significa che in tutta Italia devono essere garantiti determinati servizi minimi. Il voto favorevole della conferenza Stato-Regioni in realtà non sgombera tutti gli ostacoli del percorso, ancora lungo (e infatti sono subito riemerse obiezioni politiche, soprattutto dal versante Cinquestelle). Però aver portato tutte le regioni su una posizione comune è già un mezzo miracolo. Sembrava impossibile, perché attorno all'autonomia differenziata si consuma da due anni un tiro alla fune che non conosce vincitori: da un lato chi invoca maggiori competenze nutriva perplessità sulla soluzione ipotizzata dal ministero, fiutando il pericolo di una conquista un po' annacquata. Dall'altro, il resto d'Italia teme che non si possano concedere condizioni più vantaggiose a lombardi, veneti ed emiliani senza togliere qualcosa a tutti gli altri. Isole comprese. Boccia ha scelto di imbrigliare le richieste delle tre autonomie del Nord (ed eventuali altre richieste future) in una legge-cornice di attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, cioè quello che consente alle regioni ordinarie di acquisire "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" su un lungo elenco di materie: istruzione, sanità, ambiente, beni culturali, tutela del lavoro, governo del territorio e così via. Il testo proposto dal ministro anzitutto amplia il ruolo del Parlamento nell'approvazione delle singole intese con le regioni. In secondo luogo, crea la "barriera" dei livelli essenziali delle prestazioni: "In sostanza, di fronte a ogni cessione di competenza su una data materia, lo Stato dovrà chiedersi se sia compatibile con la necessità di garantire i Lep", spiega Francesco Sanna, già presidente della commissione paritetica Stato-Regione per l'attuazione dello Statuto speciale della Sardegna, nonché ex parlamentare Pd in rapporti molto stretti con Francesco Boccia. E c'è un altro elemento innovativo nella bozza di legge quadro: "Una norma che favorisce il federalismo interno alle regioni - prosegue Sanna - prevedendo una ripartizione con gli enti locali delle funzioni devolute dallo Stato, in base ai principi di sussidiarietà e adeguatezza. Un modo per contrastare il centralismo regionale".

Riguardo ai rischi dell'autonomia differenziata per le regioni speciali, "non possono essere esclusi del tutto, ma con questa legge quadro mi sentirei molto più tranquillo", sottolinea Sanna: "Anche perché non c'è alcun riferimento alla pretesa ideologica delle regioni del Nord di trattenere una maggiore quota delle imposte versate nel loro territorio". Era stato soprattutto il governatore Luca Zaia a lanciarsi in proclami del tipo "i soldi dei veneti resteranno in Veneto".

In effetti sia lui che il suo collega lombardo Attilio Fontana hanno confessato di nutrire ancora dubbi sul "lodo Boccia", anche al momento dell'approvazione in conferenza Stato-Regioni. Ma il deputato lombardo Eugenio Zoffili, fino a poco tempo fa commissario della Lega in Sardegna, assicura che "sulla legge quadro c'è una condivisione di fondo e non potrebbe essere altrimenti, perché riprende la legge sul federalismo fiscale voluta nel 2009 da un governo di centrodestra". Con un'avvertenza: "Sulla cornice ci siamo, la Lombardia però non può più aspettare, è il momento di arrivare alla pratica dell'autonomia differenziata". Immutata la posizione anche sulle conseguenze per la Sardegna: dare più poteri alle regioni del Nord in un contesto quasi federalista, assicura la Lega, non contrasta le aspirazioni di autogoverno dell'Isola, anzi. Se lo augurano di cuore coloro che chiedono di inserire nella Costituzione il principio d'insularità, una rivendicazione nata nel 2017 con una richiesta di referendum, proprio in analogia alle consultazioni popolari promosse in Veneto e Lombardia per reclamare le nuove competenze locali. Michele Cossa, esponente del partito dei Riformatori che ha lanciato la battaglia, è anche presidente della commissione speciale dedicata dal Consiglio regionale all'insularità: "L'approvazione della bozza di legge quadro da parte delle regioni è un passo avanti importante", commenta, "rilevo però che ancora una volta non si tiene conto della specificità della Sardegna, in quanto isola. I ministri vengono nell'Isola a fare dichiarazioni rassicuranti, ma di fatto il governo continua a trattare con sufficienza la questione sarda, e questo è inaccettabile".

Cossa apprezza l'introduzione dei Lep, ma "bisognerebbe valutare anche i livelli essenziali delle infrastrutture", aggiunge: "Abbiamo un gap storico da colmare. La battaglia per l'insularità non mira a rivendicare più soldi, ma pari opportunità col resto d'Europa. Lo Stato dovrebbe aiutarci a ottenere dall'Ue una modulazione diversa delle regole sugli aiuti di Stato". Su questi aspetti, nella sua recente visita istituzionale a Cagliari lo stesso Boccia aveva aperto una prospettiva per la Sardegna e le altre regioni speciali: "La legge quadro prevede un meccanismo di perequazione infrastrutturale automatica in favore delle aree meno sviluppate delle regioni ordinarie (solo quelle perché è una norma che attua l'articolo 116 della Costituzione, ndr). Le regioni autonome devono chiedere di essere comprese in quel meccanismo".

Solleva invece qualche perplessità sulla legge quadro l'ex assessore alle Riforme della Giunta Pigliaru, Gianmario Demuro, anche lui con trascorsi nella commissione paritetica Stato-Regione. "Sicuramente il ddl Boccia è utile perché stabilizza la procedura per le intese con le regioni", premette, "ma mi preoccupa un po' il percorso per la definizione dei Lep". L'articolo 2 della bozza la affida di fatto a dei commissari scelti tra i dirigenti generali del ministero dell'Economia: "Temo una forte burocratizzazione e un accentramento delle procedure, in cui sarà decisivo il parere della struttura finanziaria e non della parte politica. Se Mario Melis avesse dovuto discutere di cose simili con un dirigente anziché col ministro, non si sarebbe neppure seduto al tavolo". Anche sul ruolo effettivo dei Lep c'è da riflettere: "Possono avere un forte valore simbolico", concede Demuro, "ma nella sanità sono stati da molto tempo definiti i livelli essenziali di assistenza, e non mi sembra che questo abbia prodotto reale omogeneità tra i vari territori, per quanto riguarda la tutela della salute".
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