Il disegno era quello di far diventare Sassari la seconda Città metropolitana della Sardegna dopo quella di Cagliari e riesumare contemporaneamente le province di Gallura, Ogliastra, Sulcis e Medio Campidano, istituite nel 2001 e cancellate nel 2016. Ancora: elezioni da indire entro il 30 giugno 2024 per far nascere Consigli metropolitani e provinciali, a cui affidare la costruzione del nuovo assetto delle autonomie locali. Ma per ora non se ne fa nulla.

L'apertura delle urne, con procedura di secondo livello – ai seggi solo gli amministratori locali – è scritta nell'articolo 120 della legge regionale 9/2023. Ovvero, il collegato alla Finanziaria, impugnato dal Governo Meloni davanti alla Corte Costituzionale e tuttora sub iudice. È stato il centrodestra a trazione Lega-Psd'Az, durante la legislatura appena chiusa, a volere quell'articolo 120 ma il risultato è stata una seconda norma finita sulla tagliola della Consulta dopo la legge 7 del 12 aprile 2021, stoppata dall'Esecutivo Draghi.

Il doppio ricorso, che ha reso inoperative le due norme del 2021 e del 2023, ha riportato l'orologio sardo delle autonomie locali al 2016. Precisamente alla legge 2 del 14 febbraio. Le alleanze spazzarono via le province del 2001 e plasmarono un modello organizzativo di difficile applicazione. Il riordino del 2016 si fonda su uno schema a cinque. Il Sud Sardegna è l'ex provincia di Cagliari "ripulita" dalla Città metropolitana che, a sua volta, raccoglie diciassette municipi. Gli enti di Oristano e Nuoro sono anche le «città medie» che, aggregandosi ad altri Comuni, possono dare vita a «reti urbane», ugualmente di rognosa attuazione. La Provincia di Sassari, invece, è stata promossa a «rete metropolitana». Qualcosa di meno di una Città ma neppure quel "contentino" ha mai visto la luce.

Alessandra Carta

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