Ed ecco che con l’avvento del Governo di centro-destra, ma sarebbe meglio dire di destra-centro, tornano di moda anche quei vecchi intendimenti di battaglia propagandistica lasciati, e diremo fortunatamente, allo stato di potenza dal segretario della Lega Matteo Salvini ai tempi dell’esperienza di Governo giallo-verde.

Si tratta di un argomento classico di cosiddetta “distrazione di massa”, significativo dell’incapacità di questo esecutivo di affrontare le problematiche impellenti che si affacciano nella quotidianità della popolazione che ogni giorno vive e lavora con ingenti sacrifici fisici, economici e morali. Ma, in fondo, cosa importa? Quando la priorità sembra essere la ricerca del consenso ad ogni costo, il risultato non può che essere drammaticamente consequenziale.

Eppure, malgrado le “orecchie da mercante” che parrebbero contraddistinguere il nuovo centro di potere italiano, appare indubitabile che la contrarietà al disegno di “autonomia differenziata” sia spiccata e prevalente, specie allorquando la misura, lungi dal consolidare il carattere unitario e nazionale del “sistema Italia” proprio in un momento di gravissimo turbamento democratico, rischi di portare avanti un percorso di irrimediabile frammentazione regionalistica, minando in radice l’unità nazionale, tanto sul piano geografico e naturalistico propriamente inteso, quanto su quello astrattamente ideologico.

E quand’anche possa rispondere a concretezza che l’inveramento della specialità regionale possa aver dato luogo ad epiloghi più o meno “felici” nelle varie Regioni aspiranti all’autonomia differenziata, tuttavia, in ciascuna di esse, sia pure in misura differente, paiono risultare presenti, pericolosamente presenti, quei caratteri ideologici idonei a consentirne l’involuzione verso un sistema di governo distinto e separato rispetto a quello operante e vigente nel resto del territorio nazionale. Circostanza, quest’ultima, da scongiurare senza margini di discussione, siccome, diversamente ragionando, ci si esporrebbe al rischio di implementare le disuguaglianze senza invero garantire in alcun modo la tutela dei diritti di tutti i cittadini davanti alla legge.

Intendiamoci: la richiesta di “autonomia”, con buona pace delle “Regioni Motore” del Nord, ha un senso compiuto solo laddove giustificata in ragione della specificità del territorio di riferimento che le medesime in verità non paiono avere, siccome il legame fra Regione a Statuto Speciale e Regione a Statuto Ordinario si presenta in realtà, e non potrebbe essere altrimenti, meno stringente di quanto l’assonanza tra i due stessi sintagmi sembrerebbe suggerire.

La differenza, in buona sostanza, risiede unicamente nella qualificazione aggettivale che accompagna il sostantivo principale (“Regione”). Infatti, e la circostanza non può essere relegata ad una condizione di marginalità, in principio la eventuale previsione di una “autonomia speciale” non rientrava in un disegno ampio di regionalizzazione, ma veniva concepita, e giustamente, quale elemento di rispondenza all’esigenza di conservazione dell’unità nazionale con riferimento ai territori insulari e di confine al fine di porre nel nulla eventuali ambizioni eversive che potessero evidenziarsi al loro interno.

La specialità è, e deve restare, nei termini ristretti di singola eccezione nel contesto ordinamentale italiano per poter rispondere efficacemente a peculiari, ma non necessariamente uniformi, esigenze di autonomia giustificata da una incisiva domanda sociale quale riflesso di una identità culturale fortemente sentita. Certamente, l’esperienza sarda, per ragioni di diversa specie e natura, legate probabilmente alle decisioni di classi dirigenziali poco avvedute e poco propense a valorizzarne gli aspetti di rilevanza, non può essere portata ad esempio, e meglio sarebbe, con buona verosimiglianza, trasformare, arrivati a questo punto, il contesto ordinamentale sardo in senso “ordinario” stante il fallimento conclamato di un indirizzo politico quanto meno in apparenza condotto sull’alveo dell’ideologia votata al “risarcimento dei danni da sottosviluppo”.

Ma anche a voler prescindere dall’amara riflessione, sembrerebbe apparire in tutta la sua innegabile rilevanza l’esigenza di determinare, in linea generale, una evoluzione strutturale dell’ordinamento italiano nel senso unico e rilevante di un “regionalismo solidale” idoneo ad esprimere la struttura federale dello Stato basato certamente sulla autonomia regionale, ma anche sulla ripartizione delle risorse ispirata ad un principio di solidarietà reciproca. La vera sfida è solamente quella diretta a coniugare il regionalismo solidale con il più elevato principio di unità nazionale.

Il “regionalismo a geometria variabile” che vorrebbe concepire e realizzare la Lega di Matteo Salvini rappresenta l’ennesimo tentativo di placare la “sete” secessionista della parte più estrema del suo elettorato di riferimento siccome, a volerne considerare le premesse, rischia di condurre ad una attuazione incostituzionale del dettato normativo in materia di autonomia regionale che, da fattore di coesione nazionale, si muterebbe in fattore di disgregazione del territorio perimetrale italiano.

Diciamolo chiaro e tondo: il pericolo reale risiede nel tentativo di privilegiare il parametro del cosiddetto “residuo fiscale” caldeggiato da Regioni come Lombardia e Veneto siccome diretto a trattenere nei loro territori una parte assai più rilevante della raccolta fiscale. A questo solamente sembrerebbe essere diretta la richiesta di autonomia differenziata delle regioni ricche del nord, senza rendersi conto, queste ultime, che una pretesa di tal fatta, nel medio lungo termine, finirebbe per risultare insostenibile sul piano squisitamente finanziario.

Insomma, o vogliamo essere Italia unita e solidale, oppure qualcos’altro da definire e realizzare nel contesto di un percorso di ridefinizione dei confini statali in termini di sottrazione. Il Governo Meloni dovrebbe soffermarsi a riflettere prima di “sparare a zero” su tematiche sensibili per la tenuta democratica del Paese. Ma davvero non si riesce a svolgere una riflessione compiuta sulla circostanza del perché il regionalismo differenziato non sia riuscito fino ad oggi, anche in contesti politici più favorevoli, a trovare completa attuazione nel nostro ordinamento? Perché non vi è alcun tentativo di ricercare un coinvolgimento democratico e inter-istituzionale utile ad evitare che il Parlamento, nella peggiore delle ipotesi, sia chiamato unicamente a ratificare intese già chiuse in altra sede? La mancanza di chiarezza sul punto unitamente al tentativo mal celato di “abbandonare” (perlomeno così sembrerebbe) al loro destino le regioni del Sud Italia costituiscono probabilmente l’elemento stonato di un percorso governativo diretto alla selezione naturale utile a garantire la “sopravvivenza del più forte”. È questa la strada che vogliamo percorrere? Che ne sarebbe del Sud Italia e delle Isole? È concepibile una Italietta a due velocità? Questi sono i veri volti e risvolti del governo di destra-centro?

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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