C'è una casella per Paolo Maninchedda?

Al sistema politico farebbe comodo. Ma per lui si avverte che non c'è.

Coalizioni, alleanze? Condivisione di un progetto.

La missione non è semplice, ma lui gira la Sardegna e racconta che possiamo farcela. I dubbiosi lo inquadrano nella "divergenza".

Del potere boccia metodo e sostanza. "Diverge" perché è alternativo.

Solitario, se serve, ma sempre senza luoghi politici omologati.

I partiti li conosce molto bene.

Sa quanto è scivolosa l'accoglienza per un'idea rivoluzionaria. Cosa fa allora? Territorio e non "palazzo".

Lascia la Giunta regionale "per motivi personali" e attacca l'Anas raccomandando a Pigliaru di starle addosso. Ma il "suo" cantiere come va?

Indipendentista per lo Stato di Sardegna. Davvero possibile?

"Intanto avanza la consapevolezza sui diritti nazionali della Sardegna. È trasversale. La questione vera è che la politica non sa dove mettere chi è sintesi tra liberali, laburisti, libertari. Ha bisogno di categorie e di casacche. Bisogna inventarne una nuova per unire i sardi. Fare qualcosa di storico".

Addirittura, ma come?

"Intanto attenzione ai 'divergenti', quelli che non hanno etichette ma che sentono fortemente l'essere sardi. E la migliore classe dirigente sarda non crede più nelle etichette. Certo, i non allineati hanno sempre avuto difficoltà. Per i partiti tradizionali sono un problema: sono popolari, spesso riconosciuti come competenti, ma non sono inquadrabili".

Sarà anche un bisogno di novità.

"Certo. La novità più inattesa in Italia ed Europa è l'unità dei sardi".

Da assessore va a controllare opere incompiute. Che c'entra l'indipendenza?

"Gli indipendentisti dovevano dimostrare capacità di governo. Abbanoa stava fallendo, la 131 non era finita. Abbiamo dimostrato che la politica è una cosa utile, può trasformare la realtà".

Da indipendentista?

"L'indipendenza è capacità di governo e di organizzazione dei diritti e dei poteri. In Europa o sei uno Stato o non ci sei. Lo dice Caracciolo, un principe romano. E la Sardegna ha interessi che se diluiti in un grande corpo elettorale come quello italiano non sono difendibili".

E quindi stacchiamoci. Ma bisogna farsi capire.

"No, non stacchiamoci, ma 'formiamoci'. 'Staccarsi' è il punto di vista degli altri, il nostro è quello di esistere. Il progetto ha tre obiettivi di breve periodo per la prossima legislatura: aumentare la ricchezza sostenibile, i diritti delle persone, i poteri della Sardegna".

Processo morbido…

"L'indipendenza è un obiettivo storico e politico. Che si fa legalmente e col consenso. O non si fa. E poi è anche un obiettivo pedagogico: educa alla responsabilità. Il lavoro non si chiede, si costruisce".

Capisco, l'autonomia ha fallito.

"Diciamo che ha generato questa cultura della rivendicazione. Noi chiediamo il consenso su tre grandi obiettivi e ci alleiamo con chi ci sta. Sono esclusi fascisti, razzisti e violenti".

Grandi obiettivi, grande prezzo.

"Certo. Intanto grande disciplina e grande lavoro. Noi siamo una minoranza del Mediterraneo. E come tutte le minoranze dobbiamo sapere e saper fare più di ogni altro. Quindi ci vuole una grande rivoluzione educativa e l'unità dei sardi".

L'indipendentismo diffuso?

"Noi esprimiamo radici che sono molto presenti nella cultura europea. Il principio è: prima i diritti personali e poi i poteri dello Stato. È il motivo per cui noi siamo gli unici a porre la questione della giustizia. L'Italia ormai sospetta di tutti e mette in difficoltà gli onesti".

Intanto sembra che tra gli indipendentisti ci siano più relazioni.

"Vero, dalla frantumazione al dialogo. Si sta sviluppando un confronto più ampio del passato. Noi siamo per il 'come' non per il 'chi'. Noi proponiamo un accordo nazionale sugli interessi della Sardegna a tutte le forze indipendentiste e autonomiste. C'è bisogno di una rivoluzione ragionata. Lo sente anche il pensionato che prima si sentiva tutelato dalla conservazione, oggi sente l'urgenza del cambiamento".

E il concetto sta passando?

"Noi lo chiamiamo 'convergenza nazionale'. Ed è un'idea all'attenzione di molti. Ci può stare chi sente solo la Sardegna come sua patria, come noi, e anche chi si sente cittadino di due patrie, come gli autonomisti".

Vuol dire che sentite aria di governo?

"Aria di interesse, anche di partiti italiani dai liberali ai laburisti".

Come la mettiamo con i tempi? Le Regionali non sono lontane.

"Il tempo serve a far capire che non costruiremo alleanze ordinarie. Sarà una cosa completamente inedita, con un mandato forte del popolo per fare un cambiamento profondo della Sardegna. E la coalizione deve vincolarsi sugli interessi nazionali dei sardi".

Con lei presidente della Regione.

"Ho un interesse meno elettorale. Vorrei concorrere a rifondare una nazione e poi scomparire, andare a coltivare un orto. Fare il governatore è uno strumento. Io ho un sogno straordinario".

Per questo ha lasciato la Giunta regionale?

"Non ci sono segreti. Le mie ragioni sono quelle che ho scritto: molta stanchezza. Se la domanda è 'come andava con Pigliaru' rispondo che abbiamo discusso duramente su alcuni temi rimanendo molto amici".

Che sarebbero?

"Sanità, rapporti con lo Stato, politiche del lavoro. La Sardegna vive un dramma antropologico: due, tre generazioni che non sanno che cos'è il lavoro. Per affrontare questo servono interventi pubblici in economia. A Pigliaru comunque va riconosciuta una gestione al riparo da qualsiasi conflitto di interessi".

Su cosa non è stato ascoltato?

"Ascoltato sempre. Altro è condividere. Ho chiesto di digitalizzare gli archivi, di mappare tutto il sottosuolo, allungare l'orario di apertura degli uffici pubblici, aprire le foreste nei giorni festivi con personale dedicato. Era welfare intelligente mentre si trasforma. E poi bisognava avere più considerazione per chi produce ricchezza sostenibile. Per noi, in Sardegna, è una risorsa nazionale".

Ovvero?

"Non bisogna considerarli come persone di cui sospettare. Mi chiedo: perché se il governo italiano fa una legge per attrarre un investitore come il Qatar è una cosa buona, e se la Regione difende un sardo che produce ricchezza commette abuso d'ufficio? Io voglio il Qatar. Ma anche i nostri imprenditori. Invece in Sardegna sono guardati con sospetto".

Si riferisce all'urbanistica?

"Anche, ma non solo. Voglio dire che chi è ricco e produce ricchezza non è colpevole di nulla, anzi. Sull'urbanistica, noi siamo chiari: non un mattone in più entro i 300 metri, sì alle manutenzioni degli alberghi. E no alle intese. I grandi progetti non hanno bisogno di negoziati con la politica. Regole uguali, per i grandi e per i piccoli. Per il Qatar e per i sardi»

".

Nicola Scano

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