La scorsa settimana è stata caratterizzata dal dibattito politico tra le forze di maggioranza e quelle di opposizione conseguito alla approvazione di due riforme caratterizzanti l’attuale coalizione di Governo.

Nel corso delle ultime sedute parlamentari, infatti, quelle successive, per intenderci, al voto delle giornate dell’otto e del nove giugno appena trascorse, il Senato, da parte sua, ha approvato, in prima deliberazione, con centonove voti a favore, settantasette contrari e un astenuto, il disegno di legge costituzionale distinto al numero 935, inerente non solo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ma anche ulteriori e riconnesse modifiche costituzionali ritenute utili a garantire la stabilità del governo.

Allo stesso tempo, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva, con centosettantadue voti favorevoli, nove contrari e un astenuto, il disegno di legge sull’autonomia differenziata, conferendo di fatto maggiori poteri alle Regioni.

Per intenderci meglio, e scandendo partitamente i termini essenziali delle due differenti riforme: con la cosiddetta elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, quest’ultimo sarà eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni, con le votazioni che dovranno svolgersi in linea contemporanea a quelle delle due Camere, in un contesto in cui la legge elettorale sarà finalizzata a garantire alla coalizione vincente il conseguimento di una percentuale pari al cinquantacinque per cento dei seggi in ciascuna Camera; il Presidente del Consiglio, una volta eletto, potrà godere della stabilità conferitagli dal voto popolare; laddove dovesse verificarsi la situazione per cui non si ottenesse la fiducia da parte delle Camere, il Presidente della Repubblica potrà risolversi o nel senso della conferma dell’incarico al Presidente eletto o nel senso dello scioglimento delle Camere, ma non potrà più nominare senatori a vita; con la riforma sull’autonomia differenziata, invece, il Governo in carica ha concesso maggiori poteri e autonomia in determinate materie alle Regioni a statuto ordinario che manifesteranno l’intenzione di volersene avvalere; nel contesto, il livello dei servizi dovrà essere garantito in maniera uniforme a tutti i cittadini, a prescindere dalla Regione di rispettiva residenza; gli accordi Stato-Regione per il conseguimento dell’autonomia differenziata dovranno essere contenuti in un range temporale decennale, ed inoltre, potranno altresì essere rinnovati, o meno, fornendo un congruo preavviso di dodici mesi; attraverso i decreti legislativi, da adottarsi entro ventiquattro mesi da parte del Governo, verranno quindi determinati i livelli e soprattutto i costi dei cosiddetti LEP.

Ebbene, compiuta siffatta premessa riassuntiva, nei termini essenziali, dei contenuti delle due riforme, al netto del maggiore o minore gradimento manifestato dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione, sembrano affacciarsi taluni interrogativi e/o perplessità.

In buona sostanza, e proprio al di là del gradimento verso l’una o l’altra parte politica, la forza impattante di due riforme di siffatta consistenza avrebbe semmai dovuto suggerire, come doveroso, il percorso della consultazione popolare quale momento imprescindibile del confronto. Specie laddove, proprio attraverso la riforma cosiddetta del premierato, si voglia esaltare l’esistenza del rapporto diretto tra il Popolo e quella che sarà, almeno così sembrerebbe, la sua massima espressione sul piano istituzionale. E specie laddove, attraverso la concreta attuazione delle suddette riforme, si intenda modificare l’intero impianto organizzativo del Paese. La forza impattante di una riforma costituzionale di siffatta consistenza sembrerebbe indurre pure taluni ulteriori interrogativi.

Considerate sul piano squisitamente tautologico, ovvero dei fini propriamente intesi, Premierato e Autonomia Differenziata possono coesistere, nei termini stretti della compatibilità reciproca, all’interno del medesimo ordinamento?

Il Regionalismo differenziato, da taluni definito “asimmetrico”, può davvero rappresentare una opportunità di sviluppo per le Regioni del Sud e per le Isole Maggiori, Sicilia e Sardegna, che già si caratterizzano per essere Regioni Autonome a Statuto Speciale, e che già presentano le loro criticità specifiche proprio in ragione del loro essere Isole? Sembrerebbe trattarsi di perplessità tutt’altro che di trascurabile consistenza. Tanto più laddove si voglia considerare che con l’Autonomia Differenziata il potere decisionale, con buona approssimazione e salvo migliore e/o differente precisazione, sembrerebbe concentrarsi tutto all’interno del perimetro territoriale di quella Regione che manifesti l’intenzione e la volontà di avvalersene, andando a rafforzare, con buona approssimazione, la figura del Presidente di Regione in carica. Ossia il potere di tanti Presidenti, quante attualmente sono le Regioni Italiane, che rispettivamente porteranno avanti le esigenze, potenzialmente differenti, del proprio territorio.

Quale sarà il rapporto tra il Premier eletto a suffragio universale ed i singoli Presidenti di Regione? Potrebbe il cosiddetto Premierato risultare, per così dire, in qualche maniera mortificato nei fini con l’attuazione della Riforma Calderoli? Il Regionalismo strettamente inteso, portato alla prova pratica della Differenziazione, in quale maniera potrà inserirsi all’interno di un contesto governativo riformato alla luce del “Premierato”? Si tratterà di una differenziazione di carattere “solidaristico”, ossia finalizzato alla positiva e proficua cooperazione tra Regioni, e finalizzato, nella sostanza, a condurre ad equivalenza le condizioni di vita tra le diverse realtà regionali, oppure sarà invece di carattere “concorrenziale”, considerati gli effetti riconnessi alla globalizzazione, ossia quelli direttamente riconducibili alle dinamiche del libero mercato, della inflazione e della competitività?

Ebbene. Difficile dire se l’Autonomia Differenziata approvata da ultimo possa assimilarsi al secessionismo che fu di Umberto Bossi, Fondatore della Lega Nord, e considerato il trascorrere del tempo un’analisi in tal senso forse non sarebbe utile se non all’interno del Partito di riferimento.

Oggi sembrerebbe doveroso garantire l’unità nella diversità, perché la piena attuazione del principio di uguaglianza passa attraverso il rispetto delle diversità.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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