Mancava solo lo spettro delle ingerenze russe nel processo democratico italiano ad agitare le acque di una campagna elettorale “sui generis”, assai povera di contenuti e, per ciò stesso, poco attrattiva nel contesto delle dinamiche che regolano, o dovrebbero regolare, l’ispirazione al voto. Ma, a conti fatti, e considerando la situazione partitica italiana degli ultimi anni, si tratta veramente di un pericolo concreto, tangibile, attuale e, soprattutto, determinante?

È veramente preoccupante l’ingerenza potenziale e/o ideale del governo russo nel contesto delle elezioni italiane? O si tratta piuttosto di uno dei soliti escamotage per tentare di “far fuori” una “destra” che tale vorrebbe proporsi di essere, ma, ad onor del vero, sembra difettare grandemente proprio di quegli elementi di rinnovamento di un pensiero politico che dovrebbe aspirare al “progressismo” per poter rivivere nel circuito democratico rispettandone i valori pregnanti?

Al di là delle risposte che ciascuno di noi voglia maturare nell’intimo delle proprie coscienze, e/o della verosimiglianza delle preoccupazioni cui si è fatto accenno poco sopra, se volessimo comprendere fino in fondo le dinamiche, anche perverse, che regolano i processi elettorali nella loro complessità, non potremo discostarci da talune riflessioni di massima.

Intanto, quella per cui non i russi in particolare, quanto piuttosto la crisi generata dalla pandemia da coronavirus ha contribuito ad esacerbare la lotta sempiterna tra “democrazia” ed “autoritarismo”, nel contesto della quale, i vari “player” statali e para-statali variamente “autoritari, hanno potuto mettere in campo “strumenti” di vario tipo, financo di carattere economico, utili a destabilizzare ed indebolire le forze democratiche di sistema. Quindi, quella per cui l’attenzione alle verosimili o meno ingerenze straniere, andata progressivamente in aumento per l’esigenza di rinvenire una giustificazione all’incapacità delle attuali democrazie occidentali a far fronte ai “mutandi” assetti del potere mondiale, ha finito con il rappresentare solo il pallido riflesso di uno specchietto per le allodole ammalorato dall’usura del tempo.

Infine, quella per cui il timore che i “player stranieri”, o meglio taluni di essi, possano incidere nei meccanismi di gestione del potere nazionale di singoli Stati Membri dell’Unione, trasformando le caratteristiche salienti delle democrazie liberali in fattori di de-qualificazione, ha finito, sembrerebbe, per essere utilizzato dai contraddittori politici nostrani per dare corpo ad un messaggio elettorale troppo tiepido e inconcludente per poter riuscire a rompere il “muro del silenzio” del corpo elettorale.

Intendiamoci: innanzitutto, nulla di tutto quanto rappresentato dovrebbe lasciarci interdetti laddove ci soffermassimo a riflettere sul declino che da diversi anni interessa i percorsi democratici occidentali per essere stati, ed essere oggi, quegli stessi percorsi, privi della guida di leadership carismatiche idonee ad interpretarli; in secondo luogo, non è stato mai un mistero per nessuno che l’elite russa riunita intorno alla figura imperante ed imperativa di Vladimir Putin, ha rinvenuto il fondamento ed il baluardo della sua ascesa, e quindi, il consolidamento del suo potere, in funzione dell’unico obiettivo da perseguire individuato nel “riconoscimento sul piano internazionale dello status di grande potenza della Federazione Russa”; in ultimo, ma non ultimo luogo, è appena il caso di rammentare che la fugace cooperazione instauratasi tra Russia e Stati Uniti in occasione della “lotta al terrore”, è stata comunque condotta, da parte della Russia, all’insegna di una politica di cosiddetto “hard power” per la conservazione dello spazio post-sovietico al fine di impedirne la “democratizzazione” occidentalmente intesa. Pertanto, ed a ben voler argomentare sul punto, lo spettro agitato dall’alleato americano costituisce né più né meno che un pallido tentativo di ri-allineamento dell’Unione tutta rispetto ai nazionalismi di taluni Membri schiacciati dalle pressioni della popolazione locale dirette al ripristino dello status quo ante il fatidico giorno del 24 febbraio 2022.

Il vero problema di questa prossima tornata elettorale è piuttosto altro, e non pare potersi risolvere a stretto giro: l’astensionismo, che non è solo quello “volontario” animato da quanti si sentano delusi dai propri rappresentanti e traditi nelle aspettative, ma anche quello cosiddetto “involontario”, concernente diversi milioni di elettori che, per le ragioni più varie, magari non riusciranno a recarsi alle urne per poter esprimere la propria preferenza.

Il fenomeno, invero poco indagato perché probabilmente poco attrattivo sul piano financo giornalistico, sembra porsi in rapporto alle elezioni secondo un crescendo tale, da essere idoneo da solo a sfasare ogni previsione di voto: al punto che il pensiero delle ingerenze russe induce in ciascuno di noi solo un sorriso sornione indicativo della scarsa pregnanza della questione. Per farla breve, resteranno probabilmente esclusi involontariamente dal voto gli anziani, con o senza infermità, quelli con disabilità, i lavoratori fuori sede, gli studenti fuori sede nonché tutti coloro che per varie ragioni, financo di puro e semplice svago, si trovano ad essere lontani dalle loro abitazioni nell’unica giornata di votazione.

In buona sostanza, e per farla breve, la unica interferenza nel processo democratico attuale sembra essere rappresentata, oltre che dall’astensionismo cosiddetto apparente, dall’astensionismo reale, sostanzializzato nelle categorie umane degli indifferenti e degli alienati complessivamente intesi che, in mancanza di ogni apprezzabile impegno civile hanno finito, e finiranno anche in occasione del 25 settembre, per condizionare gli esiti del voto più di quanto non possa fare la potente elite russa se proprio volessimo continuare a concepire la stessa alla stregua di un nemico da combattere.

Concludendo, non sarà forse superfluo osservare come anche la progressiva riduzione dei livelli di competitività all’interno dei vari sistemi partitici nostrani, determinata dalla stabilizzazione di processi democratici confusi privi di contenuti di valore e di diretto interesse per la collettività per essere gestiti da leader quasi omologati, abbia contribuito ad alimentare le istanze astensionistiche scoraggiando la partecipazione al voto.

Il consiglio, dunque, è quello di restare con i piedi ben piantati a terra evitando di ricercare altrove la causa di responsabilità che sono, purtroppo, tutte interne alle nostre democrazie le quali, verosimilmente, paiono ancora lontane dall’aver portato a compimento quel necessario processo di “nazionalizzazione” della politica che avrebbe dovuto condurre alla formazione ed al consolidamento degli Stati-Nazione idonei a gestire le fratture sociali e la successiva convergenza nazionale del comportamento elettorale.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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