“Nessuna dottrina o nessun movimento può essere contemporaneamente di destra e di sinistra” e, allo stesso modo, “una dottrina o un movimento possono essere soltanto o di destra o di sinistra”. A tali conclusioni monolitiche, anni or sono, aveva ritenuto di poter pervenire Norberto Bobbio. Certo non poteva neppure lontanamente immaginare quale avrebbe potuto essere la forza logorante di un processo di obsolescenza pre-impostata dei partiti politici che, nell’esplicarsi tormentato della realtà contingente, pare aver raggiunto il suo apice in occasione delle operazioni di voto dirette alla scelta del Presidente della Repubblica. Proprio quelle formazioni così eterogenee e promiscue, per il fatto stesso di essere tali, hanno smarrito la capacità di tracciare precise linee di demarcazione, e di seria contrapposizione, non solo tra i modelli sociali che dovrebbero essere di rispettivo riferimento, ma anche tra i rispettivi presupposti ontologici di operatività.

Se così non fosse, non si sarebbe potuto assistere alla nascita del Governo Giallo-Verde prima, di quello Giallo–Rosso poi, e di quello “arcobaleno” di pretesa unità nazionale da ultimo. E se è vero che un partito possa esistere solo fin tanto che sopravviva la “contrapposizione”, sul piano materiale, che avrebbe dovuto saper imporre ma non ha imposto, allora è evidente che, nella situazione data, l’evanescenza di quella apparente “contrapposizione” è divenuta, col tempo, la causa e l’effetto della disgregazione delle diverse compagini politiche, rimaste “orfane” non solamente di leadership coinvolgenti, ma financo di struttura e conseguenti progetti programmatici pur conservando (inspiegabilmente saremmo portati a dire) gli innumerevoli “privilegi di classe” nella “noncuranza” (così parrebbe essere) per la condizione di disagio generalizzato del contesto sociale.

Se ci domandassimo quale possa essere oggi il “luogo del potere e dei poteri”, non potremmo offrire altra risposta se non quella per cui quel “luogo”, liquido e impercettibile rispetto al sentire comune, parrebbe trovare immediata corrispondenza fisica e ideologica nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, e solo in quella, ossia in un “organismo” lontano anni luce dal Paese reale e dalle istanze molteplici di cui proprio quel Paese riesce ancora, suo malgrado, a farsi portatore nonostante tutto. Eppure tra un anno circa quel ridetto Paese reale, affamato e stanco, privo di concreta ed efficiente rappresentanza partitica, sarà nuovamente chiamato alle urne per esprimere un voto che, con buona verosimiglianza, astensionismo permettendo, sarà destinato a cadere nel vuoto, travolto dai lambiccanti meccanismi elettorali che tutto paiono assicurare, e/o non assicurare, tranne la stabilità governativa. E non illudiamoci: il Governo Draghi è nato non certo per offrire una risposta alla crisi pandemica latamente intesa, ma è nato e si è imposto solo e unicamente in ragione del fallimento delle pseudo coalizioni partitiche, già a suo tempo portate a esistenza non per effettiva comunanza di intenti, ma solo per tentare di far quadrare il cerchio all’esito delle varie competizioni elettorali portate avanti sui meccanismi di una legge costruita e studiata non solo per non “lasciare fuori” nessuno dai processi governativi, ma anche e soprattutto quale contro-partita inevitabile per favorire la “promiscuità” partitica.

Detto altrimenti: se il presupposto (la legge elettorale) è dubbio, allora l’effetto (le alleanze delle differenti compagini facenti parti di coalizioni contrapposte) non può che essere “liquido”, con ogni conseguenza sul piano della chiarezza dei programmi di governo, portati avanti, ma solo sulla carta, a colpi di “hashtag” il più delle volte inconferenti, confezionati unicamente per cercare di raggiungere le masse e accrescere un consenso tanto ideale quanto inesistente: la parabola discendente del segretario della Lega, tra i tanti, ne è un esempio tangibile. Intendiamoci: non che gli altri leader, o presunti tali, stiano meglio. Da Enrico Letta a Giuseppe Conte, passando per “Gigino” Di Maio, la situazione non è certo più rosea. E se Giorgia Meloni come pure Silvio Berlusconi paiono aver visto accrescersi il loro “appeal”, tuttavia sono ancora ben lontani dall’aver raggiunto il traguardo della piena affermazione nel contesto sociale di immediato riferimento.

Potremmo solamente osservare, senza timore di smentita, che quell’apparente consenso rappresenta il cosiddetto “fallo di reazione” conseguente allo spettacolo delle ultime “presidenziali”: nulla di più, nulla di meno. Oramai la credibilità di tutte le formazioni partitiche, smarritasi tra le alchimie delle trattative inconcludenti, tra gli sgambetti provenienti dalle loro stesse correnti interne, sembra essere in piena e totale deflagrazione, né pare destinata a migliorare nel giro di soli 12 mesi. Inutile, e financo grottesca, infatti, appare l’iniziativa del leader della Lega di dare vita a un grande partito repubblicano in stile statunitense il quale, invero, ammesso e non concesso che possa trovare ingresso nell’impianto democratico italiano, tradisce, nella sua stessa configurazione, il vizio d’origine, ossia la promiscuità delle “formazioni” chiamate a comporlo.

Non migliore, per quanto astrattamente concepibile, la ricostruzione di un “centro” democratico caldeggiata dal sempiterno Silvio Berlusconi, sicuramente lungimirante e visionario quanto basta per portare a compimento il suo disegno, ma destinato, forse più di chiunque altro, a scontrarsi con quanti, per la loro “inerzia”, sono portati ad avvertire in maniera “opprimente” l’ingombranza scenica di un Uomo dalle molteplici risorse e dalle innegabili capacità carismatiche che è pure riuscito a dipanare, con il proprio determinismo, la complessa matassa delle presidenziali che hanno condotto alla ri-affermazione di Sergio Mattarella agli onori del “Colle”. Per non parlare poi della leader di Fratelli d’Italia, certamente coerente e politicamente preparata la quale, dal canto suo, pare tuttavia non aver compreso, “accecata” dal desiderio di sovrastare il suo amico-rivale Matteo Salvini, che al giorno d’oggi “nessuno può ballare da solo”.

Insomma: se la nebbia è fitta in Val Padana, non migliori le condizioni “climatiche governative” paiono presentarsi nel resto del Paese, e soprattutto a “Roma”, ove l’insofferenza manifesta di Mario Draghi per gli esiti quirinalizi sembra farsi sentire prepotentemente. Malgrado l’atteggiamento pavido dei vari partiti, o di quel che resta di essi, resto convinta che il processo di ricostituzione democratica possa e debba passare solo attraverso l’archiviazione dell’esperienza draghiana. Forse, la soluzione a questa condizione di stallo deve passare attraverso il totale rinnovamento della classe dirigenziale, dal momento che gli attuali componenti del Parlamento paiono incapaci di ricostituire non solo le tradizionali alleanze, ma anche di configurare un equilibrato rapporto dialettico con i loro diretti competitor. Ciò che contribuisce, allo stato, a rendere particolarmente incerto l’esito, se ci sarà, delle prossime politiche perché se mancano schieramenti certi nella loro composizione e nei loro intenti, nessuna competizione elettorale può maturare e offrirci i suoi frutti. Da qui a un anno, saremo di nuovo punto e a capo: tuttavia, riuscirà a prevalere chiunque riesca a interpretare la crescente contrapposizione sociale facendosi portatore serio ed equilibrato del grido di aiuto di una popolazione esausta. Centro-Destra e Centro-Sinistra non esistono più, e forse non sono mai esistiti fino in fondo per aver conservato una mescolanza di “legami” impercettibili, ma esistenti, proprio in quell’area condivisa di “centro” che è stata allo stesso tempo causa efficiente ed effetto demolente delle due formazioni. Le ideologie sono un lontano ricordo. Potrei sbagliarmi, ma il prossimo Parlamento, con buona verosimiglianza, specie nella sua formazione ridotta, potrà esistere solo laddove popolato da Uomini che pur nella diversità della loro cultura democratica sapranno eliminare le contrapposizioni per procedere in armonia sul piano squisitamente “amministrativo”. Non più coalizioni, non più partiti, ma solo Uomini espressioni di ideologie democratiche differenti. Questo il futuro della politica italiana.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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