Nella Città Metropolitana di Cagliari, e precisamente a Palazzo Regio, si è svolto l’incontro su “I Comuni Sardi verso il Pnrr”. L’evento ha visto tra i suoi protagonisti, tra gli altri, il primo cittadino di Nuoro, Andrea Soddu, nella sua qualità anche di presidente Ali Sardegna, il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, nonché l’assessore agli Enti Locali ed Urbanistica della Regione, Quirico Sanna, espressione di spicco del Partito Sardo d’Azione.

Una occasione significativa e contestualmente una sfida da non perdere per discutere del futuro del territorio a fronte delle potenzialità che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sembrerebbe poter offrire. Intanto, perché i Comuni, soprattutto quelli del Sud e delle Isole siccome svantaggiati per il “gap” funzionale esistente rispetto a quelli del più fortunato Settentrione d’Italia, si ritroveranno a dover gestire risorse ingenti incontrando, verosimilmente, non poche difficoltà all’atto delle operazioni di finanziamento e investimento dei fondi: in buona sostanza, al momento della “messa a terra” di questa che potrei definire quasi come una “elargizione” unica e irripetibile nella storia del Paese e dell’Unione. Quindi, perché il “triplo binario” che caratterizza l’area settentrionale, quella meridionale, e quella insulare del Paese funge da elemento di squilibrio costante e potrebbe ulteriormente contribuire ad ampliare il differenziale di sviluppo tra le differenti macro aree in cui appunto sembra essere, e in effetti lo è, organizzato l’intero perimetro nazionale. Infine, per brevità, ma evidentemente tanto altro si potrebbe rilevare, perché se è vero, come è vero, che i fondi provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza possono costituire una occasione utile per il rilancio dei territori svantaggiati, tuttavia, sembra apparire come altrettanto vero, a mio umile modo di considerare, che, al fine di evitare la inutile dispersione di risorse, sarebbe necessario istituire una sorta di “Strutture Operative Specializzate” di carattere manageriale, sulla cui denominazione si potrà discutere in un secondo momento, idonee a guidare, senza condizionarla, l’iniziativa e l’operato dei sindaci i quali, altrimenti, potrebbero trovarsi esposti, loro malgrado e ingiustamente per quanto di ragione, a responsabilità anche rilevanti direttamente riconnesse all’esercizio delle loro funzioni.

Non per nulla, intervenendo proprio a proposito degli emendamenti proposti dall’ANCI relativamente alle proposte di legge all’esame del Senato, il già presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, oggi deputato e coordinatore di Forza Italia Sardegna, ha dichiarato espressamente, sulla sua pagina Facebook, il suo sostegno  a favore dei sindaci tutti, ossia di coloro che rappresentano il “primo riferimento del cittadino nel territorio”, precisando, tra l’altro, che non si tratterebbe di assicurare agli stessi “una forma di impunità, ma solo il rispetto delle garanzie per la persona e per il ruolo esercitato”.

Ma, tanto detto, e secondo me giustamente se lo si riflette nel contesto ideologico di riferimento, ossia quello relativo alla realizzazione del miglior interesse per le comunità amministrate, in che modo quelle risorse così corpose possono riuscire a trovare la loro finalizzazione? Ebbene sì, questo è l’interrogativo determinante: perché soprattutto noi del Mezzogiorno d’Italia e delle Isole dobbiamo fare i conti con una narrazione degradante che consuetudinariamente, quanto probabilmente ingiustamente, ci descrive da sempre quali scialacquatori di risorse per incapacità originaria e parassitismo funzionale. Senza considerare che è proprio la connotazione geografica del territorio, cosiddetta a “macchia di leopardo”, a richiedere forme di intervento “differenti” e “altre” rispetto a quelle che caratterizzano le Regioni del Nord. Sottolineare ancora e ulteriormente una circostanza che è sempre stata nell’ordine naturale delle cose potrebbe apparire addirittura fastidioso alle orecchie di quanti, assuefatti sui grandi numeri, continuino a voler considerare questa parte di Italia alla stregua di una zavorra da cui scollarsi quanto prima. Eppure, malgrado i fin troppi ostacoli naturali e scarti infrastrutturali che fino ad oggi hanno compromesso il potenziale economico del Sud, delle Isole, delle loro località montane, dei loro borghi naturali, proprio questo immenso frammento di territorio spopolato e stanco, privo addirittura di quelli che dovrebbero essere i servizi essenziali utili alla sopravvivenza della comunità di riferimento, può ancora esprimere una fortissima vocazione economica e imprenditoriale se solo la Politica tutta si impegnasse nella predisposizione di un Piano di Rilancio che, lungi da generalizzazioni semplicistiche e de-responsabilizzanti affronti con ferma determinazione la situazione con l’intento di risolverla. Esistono aree interne, scarsamente collegate con i più grossi agglomerati urbani, interessate da perduranti fenomeni di spopolamento costante che solo attraverso una più equa distribuzione delle risorse potrebbero essere rivitalizzate e valorizzate. La logica dell’assistenzialismo circostanziale non può costituire una reale e duratura base di intervento perché, nello specifico, non si tratta di “compensare” il solo disagio cagionato da un evento critico quale appunto è stato, e continua ad essere, l’emergenza sanitaria pandemica. Occorre capire, e di conseguenza decidere, quale ruolo si intenda attribuire, all’interno del Sistema Italia, al Sud e alle Isole, il quale, e le quali, non possono continuare a rappresentare un semplice bacino da cui attingere la forza lavoro da re-impiegare nel comparto industriale del Nord. Tanto più allorquando si voglia riflettere con onestà e senso critico su una circostanza specifica: ossia quella per cui il vero nodo gordiano si sostanzia nella concreta e rapida attuazione degli investimenti da parte delle Regioni del Sud, la cui attività risulta compromessa, il più delle volte, da farraginosi meccanismi burocratici assai difficili da superare in mancanza di una programmazione razionale ed equilibrata.

Una cosa è discorrere nei termini della riduzione del divario territoriale, tanto facile a dirsi quanto difficile a realizzarsi, un’altra è capire se, nei fatti, si realizzerà la capacità di utilizzare, finalizzandole, quelle ingenti risorse.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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