Una vita intera spesa nel Partito Comunista e nei suoi vari eredi che si sono succeduti dopo la caduta del Muro di Berlino, ma con un preciso spartiacque.

Prima un'ascesa continua, fino alla presidenza del Consiglio: primo e unico esponente del PCI a salire a Palazzo Chigi, dove resterà per un anno e mezzo, dall'ottobre del '98 all'aprile del 2000. Poi una caduta libera, certificata dalle ultime elezioni politiche in cui è arrivato ultimo nel collegio uninominale pugliese dove era candidato e il suo LeU - nato per contrastare Matteo Renzi - ha rimediato un misero 3%.

Massimo D'Alema lo ami o lo odi, o in alcuni momenti lo ami e dopo un po' lo odi. Una cosa è certa, non è un personaggio che lascia indifferenti.

Dotato di una retorica molto coinvolgente, d'altri tempi se paragonata a quella dei leader odierni, sarcastico, snob, anche sprezzante. E vendicativo, uno che la vendetta la sa servire fredda, lo sa bene Matteo Renzi. Molto acuto ma anche autore di previsioni che si riveleranno totalmente sballate (da "Berlusconi prenderà pochissimi voti, non siamo mica in Brasile", al 10% ipotizzato come bacino elettorale di Liberi e Uguali).

Sulla soglia dei 70 anni (li compirà il 20 aprile) D'Alema è ormai fuori dai giochi, ma resta una voce molto ascoltata a sinistra.

Con Fabio Mussi nel 1971 (Wikipedia)
Con Fabio Mussi nel 1971 (Wikipedia)
Con Fabio Mussi nel 1971 (Wikipedia)

GLI INIZI E L'AMMIRAZIONE DI TOGLIATTI PER IL PICCOLO D'ALEMA - Figlio di un comunista, già a sei anni mostra un grande interesse per la politica. Legge avidamente, soprattutto libri di storia, e già a sei anni arriva il primo scontro politico. A scuola. Lui si dichiara ateo e si rifiuta di fare religione, dando il via ad accese discussioni con la maestra. Si iscrive all'associazione "Pionieri", per i bambini comunisti minori di 15 anni, e a nove anni ne diventa già rappresentante. Lo fa grazie a un discorso scritto da lui, grazie al quale si guadagna la stima di un certo Palmiro Togliatti: "Se tanto mi dà tanto, questo bambino farà strada".

Da Togliatti a Renzi, se c'è uno che ha vissuto tutti i cambiamenti e i leader della sinistra nell'Italia del dopoguerra, quello è proprio Massimo D'Alema.

Frequenta il liceo classico negli anni '60, sono gli anni delle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, nel corso dei quali fa anche volontariato in parrocchia e partecipa alle lezioni di religione, che finiscono sempre in una discussione con l'insegnante. Si iscrive all'università, alla Normale di Pisa, la lascerà prima di laurearsi: arriva il '68, gli anni di piombo. "Io a Pisa ho tirato le molotov", dirà. Ma si è scontrato più volte con l'ala intransigente dei manifestanti e con gli elementi più radicali di Lotta Continua.

L'ultimo congresso del PCI, che diventa PDS (Ansa)
L'ultimo congresso del PCI, che diventa PDS (Ansa)
L'ultimo congresso del PCI, che diventa PDS (Ansa)

DAGLI ANNI DI BERLINGUER ALLA SEGRETERIA DEL PDS - Il primo incarico lo ottiene nel consiglio comunale di Pisa. Nel 1975 diventa segretario della FGCI. Negli anni di Berlinguer appoggia la battaglia del segretario più amato del PCI sulla questione morale e contro i socialisti di Bettino Craxi. Nel 1983 entra nella direzione nazionale del partito, poi diventa direttore de "L'Unità" (è anche giornalista professionista) e nel 1987 entra per la prima volta in Parlamento, dove resterà fino al 2013 (salvo una breve interruzione, il periodo in cui si dimette per fare l'europarlamentare).

Dopo la morte di Berlinguer alla guida del partito arriva Alessandro Natta, e gli esponenti più in vista del PCI sono proprio lui e Achille Occhetto. A succedere a Natta sarà però il secondo, con D'alema che gli dà una mano nel mantenere i rapporti con l'ala sinistra del partito nei drammatici momenti della svolta della Bolognina, quando il PCI scompare per lasciare spazio al PDS in un mondo meno ideologizzato dopo la caduta del comunismo e del Muro di Berlino.

Scriverà Occhetto in un libro che D'Alema vede la svolta della Bolognina come una "dura necessità", un'impostazione che stride con quella dell'allora segretario, molto più convinto della scelta che stava portando avanti.

Nel 1992 diventa capogruppo alla Camera e due anni dopo, quando la "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto perde clamorosamente le elezioni con un parvenu della politica come Silvio Berlusconi, alla segreteria del Pds ci va proprio lui, il "lider maximo".

Stringe la mano a Romano Prodi (Ansa)
Stringe la mano a Romano Prodi (Ansa)
Stringe la mano a Romano Prodi (Ansa)

L'ULIVO, LA BICAMERALE E IL RAPPORTO CON PRODI - Dà un importante contributo alla nascita dell'Ulivo e all'indicazione di Romano Prodi come leader (poi lo azzopperà). Nel '96 la coalizione guidata dal professore vince le elezioni e il Pds di D'alema è il primo partito a livello nazionale. Un trionfo per lui.

Nel '97 nasce la Bicamerale per le riforme istituzionali. Prove di dialogo tra sinistra e Forza Italia dopo il "patto della crostata" stretto tra D'Alema e Berlusconi a casa di Gianni Letta, davanti a una crostata preparata dalla moglie del fedelissimo del Cav. D'Alema si dice convinto che Berlusconi fosse realmente interessato a realizzare le riforme, ma l'unico interesse del Cavaliere sembra essere quello di scongiurare una legge sul conflitto d'interessi e una che ponga dei seri limiti antitrust sulle televisioni. Berlusconi salva Fininvest e poi ribalta il tavolo, niente riforme.

Qui assieme a Silvio Berlusconi (Ansa)
Qui assieme a Silvio Berlusconi (Ansa)
Qui assieme a Silvio Berlusconi (Ansa)

Nel frattempo Bertinotti fa cadere il governo Prodi. D'Alema smentisce le voci che lo vogliono a Palazzo Chigi: "O resta Prodi o si va a nuove elezioni". Ma la sua affermazione suona come un #Enricostaisereno ante litteram, perché nel '98 a Palazzo Chigi ci va proprio il lider maximo, con l'appoggio di alcuni parlamentari centristi guidati da Mastella e da un grande ex nemico di D'Alema, Francesco Cossiga.

Da premier sostiene l'abolizione del servizio militare obbligatorio, fa la legge sulla par condicio e fa approvare la discussa - e ancora oggi vituperata - riforma del Titolo V della Costituzione, che crea una enorme confusione di competenze tra Stato e regioni. Lancia i famosi "capitani coraggiosi" alla guida di Telecom, anche questa col senno di poi non si rivelerà una scelta giusta. Si attira le critiche dell'ala sinistra del partito avallando l'intervento della Nato in Kossovo. Dopo la batosta del partito alle regionali, lascia la presidenza del Consiglio a Giuliano Amato, che vi resterà fino al 2001, anno delle elezioni politiche che decretano il trionfo di Silvio Berlusconi.

Sulla sua barca a vela "Icarus" (Ansa)
Sulla sua barca a vela "Icarus" (Ansa)
Sulla sua barca a vela "Icarus" (Ansa)

COME CADE UN LEADER - Inizia la discesa del lider maximo. Dopo tre anni all'opposizione, D'Alema lascia Montecitorio per andare a Bruxelles, dove viene eletto nell'Europarlamento.

Nel 2006 gli ultimi barlumi: l'Unione di Prodi (con Piero Fassino segretario dei Ds) vince le elezioni, D'alema è vicepremier e ministro degli Esteri. Mostra freddezza verso gli Usa di Bush e ottiene un'importante vittoria quando si fa promotore della moratoria sulla pena di morte che sarà approvata per la prima volta nella storia dall'Onu.

Ma forza la mano anche questa volta, quando - criticato sulla politica estera dall'ala sinistra di una coalizione troppo variegata - si presenta in Parlamento a riferire ponendo la fiducia, e non la ottiene. Prodi si dimette, dimissioni respinte, ma è l'inizio della fine del fragile governo del prof, che nel 2008 sarà costretto a cedere (da una parte a Bertinotti, dall'altra a Mastella).

Nel frattempo D'Alema, e con lui tanti altri Ds, viene travolto dallo scandalo della scalata di Unipol a Bnl. I testi delle conversazioni tra lui e Giovanni Consorte finiscono su tutti i giornali, come il famoso "Abbiamo una banca" di Piero Fassino. Riesplode anche la vicenda - per la verità capziosa - della barca a vela, simbolo di un lusso che un politico di sinistra non può permettersi secondo alcuni.

D'Alema non è più spendibile per la nascita del nuovo Pd, che sarà contrapposto al Pdl alle elezioni del 2008. Così manda avanti il "nemico" Walter Veltroni, salvo poi dare il via a una continua campagna di delegittimazione nei suoi confronti, fino alle dimissioni del segretario che aveva provato a modernizzare il partito e all'ascesa di Bersani, d'alemiano di ferro.

Uno dei rari momenti di distensione con Matteo Renzi (Ansa)
Uno dei rari momenti di distensione con Matteo Renzi (Ansa)
Uno dei rari momenti di distensione con Matteo Renzi (Ansa)

LA GUERRA CON RENZI - Nel 2013 non si ricandida, e per la prima volta dal 1987 non ha incarichi elettivi. Si autorottama, con l'astro nascente del partito Matteo Renzi che indica proprio in lui e Veltroni i due simboli da far fuori per rilanciare il partito. Il segretario è ancora Bersani, ma D'Alema annusa il successo del fiorentino e, chissà, orgoglioso com'è, preferisce farsi da parte da solo invece di farsi rottamare.

Sa che arriverà il tempo della vendetta ("Renzi è totalmente estraneo alla sinistra, è un revival del berlusconismo", dice), e lui ama servirla fredda. Così nel 2016, quando inizia l'impietosa discesa del fiorentino, D'Alema crea i comitati per il no al referendum, attirando a sé l'ala sinistra del Pd. Contribuendo alla vittoria del no nel referendum costituzionale.

Non contento, crea anche il partito Liberi e Uguali che in campagna elettorale dichiara guerra aperta al Pd, senza preoccuparsi più di tanto dell'ascesa delle destre. Ascesa che ha visto a tempo debito, ma che non ha contrastato a dovere. Il resto è storia recente: il Pd alle elezioni è protagonista di un incredibile tracollo, ma quella di D'Alema è una vittoria di Pirro. LeU entra per un soffio in Parlamento, rimediando un misero 3% (D'Alema aveva previsto un 10%), e lo stesso lider maximo viene sconfitto nella sua Gallipoli, ultimo nel collegio uninominale. Commenta con amara ironia: "Ho preso meno voti delle persone che ho incontrato".

Massimo D'Alema (Ansa)
Massimo D'Alema (Ansa)
Massimo D'Alema (Ansa)

UN CARATTERE DIFFICILE - La sinistra lo accusa di essere troppo accomodante nei confronti degli avversari politici e di avere una certa tendenza agli "inciuci" (il padre di tutti sarebbe proprio la Bicamerale). Ma è anche vero che D'Alema ha pagato il suo carattere, che è tutt'altro che accomodante: snob oltre ogni limite, sferzante, vendicativo, con un sarcasmo e una naturale antipatia che pochi hanno in politica, e che con i giornalisti non paga.

"D'Alema, dì qualcosa di sinistra", così lo apostrofa Nanni Moretti in "Aprile". Ma è lui a paragonare Berlusconi a Ceausescu in un acceso confronto televisivo tra i due, è lui a definire Brunetta "energumeno tascabile". E tante altre sono le definizioni sprezzanti nei confronti degli avversari politici (interni ed esterni).

Per alcuni il personaggio più distruttivo della storia della sinistra italiana, per altri un padre nobile la cui voce dovrebbe ancora essere presa in considerazione.

Secondo diversi retroscenisti c'è lui dietro alle tante crisi della sinistra e ai vari ribaltoni di cui è stato vittima Romano Prodi. Che in parte sarà anche vero. Ma in molti, quando non riescono a spiegarsi un fenomeno, ci mettono lo zampino del lider maximo. Su Twitter è nato persino un profilo ironico che si chiama "L'ombra di D'Alema".

Il suo nome è stato fatto in un paio di occasioni, in via informale, per la presidenza della Repubblica, ma non è mai diventato un'ipotesi concreta. Secondo Romano Prodi c'è lui dietro i famosi 101 che nel 2013 hanno fatto naufragare la candidatura del prof per il Quirinale. Ma quello, a sei anni di distanza, resta un mistero su cui il Pd non ha mai voluto fare chiarezza.

D'ALEMA OGGI - "È andata, quella era la mia ultima battaglia", dice del flop elettorale della sua creatura, Liberi e Uguali. Ma lui che si è appassionato alla politica sin da quando frequentava le scuole elementari, non può smettere di occuparsi della cosa pubblica. Partecipa a diversi congressi, dove continua ad accusare Matteo Renzi per il crollo della sinistra. Gli restano la sua attività di imprenditore nel settore vinicolo e Italianieuropei, la fondazione di cultura politica riformista a cui ha dato vita.

Davide Lombardi

(Unioneonline)
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