Si torna a parlare di cittadinanza. Al di là e oltre le circostanze che sembrerebbero aver riportato al centro del dibattito pubblico, e politico in primis, la questione, il confronto sul punto sembrerebbe apparire in tutta la sua necessarietà. Sembrerebbe trattarsi, invero, di un dibattito ideologicamente fortemente divisivo che, se nell’ambito della attuale maggioranza di Governo parrebbe incontrare la apertura di Forza Italia, disposta al confronto in merito alla potenziale introduzione dello ius scholae, dall’altro, non facendo, il tema specifico, parte del programma politico, sembrerebbe non poter essere condiviso dagli alleati di Fratelli d’Italia e di Lega neppure nella sua ipotesi mediata, per così dire.

A ben considerare, potrebbe rendersi opportuno concentrare i termini del dibattito su talune evidenze, o che perlomeno parrebbero tali. Intanto, quella per cui la legge sulla cittadinanza italiana ha superato oramai la soglia del trentesimo anno di età, se così sia possibile dire. Quindi, quella per cui, in questo senso, quella stessa legge potrebbe aver bisogno di aggiustamenti idonei a riflettere i mutamenti nel frattempo intervenuti nella composizione della società civile, divenuta, se così si può dire, multietnica. Infine, quella per cui, per essere più chiari, e ricordandolo semplicemente, la legge 5 febbraio 1992, numero 91, si fonda, allo stato attuale, sul principio del cosiddetto ius sanguinis, in forza del quale acquista di diritto la cittadinanza alla nascita colui che sia nato da madre o padre cittadini italiani. Ebbene.

Oggi il dibattito in argomento, animato dal centro-sinistra, riporta alla attenzione e alla valutazione generale, la questione relativa alla introduzione di nuovi (vecchi) principi riflettenti differenti modalità di acquisto della cittadinanza italiana che siano idonei a rappresentare le esigenze maturate nel corso degli anni all’interno della società civile. A cominciare dall’ampliamento delle ipotesi di cosiddetto ius soli, concesso unicamente in casi eccezionali ai figli di genitori ignoti e/o apolidi ovvero allorquando, il bambino, si trovi ad essere impossibilitato di ottenere alcuna cittadinanza in presenza di norme del Paese di provenienza che impediscano l'acquisizione della cittadinanza dei genitori. Probabilmente, a questo punto, ogni interrogativo sulla opportunità di procedere alla modifica della legge sulla cittadinanza potrebbe apparire retorico, ma probabilmente comunque utile nel momento in cui si voglia considerare che un progetto di riforma di siffatta consistenza debba incontrare le diverse sensibilità sul tema esistenti nell’ambito della comunità civile dei consociati.

Sarebbe allora possibile, andando oltre le divisioni ideologiche sussistenti sul piano politico, allo stato attuale, pensare realisticamente di introdurre modifiche alla attuale legge sulla cittadinanza? Se si, in quale misura?

La posizione mediata, quella per intenderci che vorrebbe fondare l’attribuzione della cittadinanza sullo ius scholae, condivisa tanto dal partito di Forza Italia quanto pure dal Movimento 5 Stelle, parrebbe essere quella maggiormente convincente e probabilmente meno divisiva, siccome sarebbe idonea a legare l’acquisizione della cittadinanza solo all’atto del compimento di un ciclo di studi, quindi attraverso un processo di inclusione scolastica che sia idoneo a ridurre al massimo quelle che potrebbero definirsi, e forse impropriamente, come disuguaglianze di apprendimento. Se poi si possa introdurre all’attualità la questione nel dibattito delle aule parlamentari è tutto da considerare siccome, checché se ne voglia dire, a guidare le scelte legislative parrebbe essere il posizionamento ideologico dei vari partiti che compongono la maggioranza di Governo non solo oggi ma di volta in volta nel corso degli anni.

Il punto su cui concentrare l’attenzione, tuttavia, dovrebbe essere più che altro di ordine giuridico se davvero si voglia rinvenire una soluzione ampiamente condivisa. Tanto più allorquando sembrerebbe non potersi prescindere dalle esigenze e dalle opinioni sul punto della generalità dei consociati. E ancor di più allorquando sarebbe importante, per ciò stesso, stimolare sulla questione un dibattito pubblico che consenta il confronto tra le diverse posizioni al fine di rinvenire i punti di contatto eventualmente esistenti tra le stesse.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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