Come ci si sente a non essere invitata ai dibattiti pubblici, a essere considerata meno degli altri candidati alla presidenza della Regione?

«Sul piano personale non mi fa né caldo né freddo. Però è la prova evidente di una democrazia malata e di una mentalità pericolosa che serpeggia nella nostra società. Fino a prova contraria in democrazia, ai nastri di partenza, devono essere tutti uguali. Da un lato mi sconforta vedere questi atteggiamenti, dall’altro mi rincuora che molta gente la percepisca come un’ingiustizia e mi voti».

Lucia Chessa, con la lista civica Sardigna R-Esiste, è una dei quattro aspiranti governatori alle elezioni del 25 febbraio e non sempre tutti se lo ricordano. Nata a Bitti 63 anni fa, abita a Posada, insegna italiano e storia alle Superiori a Siniscola. Si definisce una candidata “a mezzo servizio”.

«Sì perché lavoro, vado a scuola ogni giorno, e per fare campagna elettorale posso usare solo i fine settimana e i sei giorni di ferie che gli insegnanti hanno durante l’attività didattica».

Il suo curriculum politico?

«Sono stata sindaca di Austis dal 2005 al 2015, poi non mi sono ricandidata perché credo che due mandati siano il giusto limite, sia in Consiglio regionale che nei Comuni. Sono segretaria nazionale dei Rossomori».

Può ricordare ai lettori chi sono i Rossomori?

«I Rossomori nascono da una scissione del Partito sardo d’azione, nel momento in cui si alleò con Cappellacci, col centrodestra. Io mi sono iscritta quattro anni fa, e nel 2021 sono diventata segretaria, nel quadro di un percorso di profondo rinnovamento. Abbiamo cambiato lo statuto, per inserire il principio di legalità (perché c’è una vera e propria emergenza) e per dire che siamo proporzionalisti».

Stavate discutendo con Soru, perché non avete concluso?

«Non è così. Quando – come Rossomori, componente civica e altri gruppi indipendentisti e della sinistra a sinistra del Pd – stavamo dialogando per la creazione di questo soggetto alternativo per le elezioni regionali, la nostra prima scelta condivisa era stata quella di non andare con il centrosinistra, l’allora Campo largo. Quando poi, all’interno di quel campo si è creata la frattura, con la fuoruscita di Renato Soru, io non ho trovato alcun motivo per modificare la nostra decisione. Lui mi ha chiesto un incontro, io gli ho detto che volevo farlo pubblico, si è rifiutato, e poi non ha gradito il fatto che io lo abbia fatto sapere».

Ma molti di quei gruppi l’hanno seguito.

«Sì, si sono lasciati incantare. Soru e il gruppo che lo sostiene sono semplicemente un pezzo del centrosinistra che si è spostato, ha occupato uno spazio dove stava nascendo qualcos’altro, ha fatto una potentissima operazione di comunicazione, e cercato di accreditarsi come completamente nuovo. Noi non ci riconosciamo in quella coalizione, né in quella del Pd con i Cinquestelle che fa capo alla Todde. E tantomeno ovviamente ci riconosciamo in questo centrodestra che ha devastato la Sardegna».

In cosa vi distinguete dagli altri?

«Innanzitutto siamo gli unici a voler modificare la legge elettorale, la riteniamo una carognata che il Consiglio regionale ha giocato ai sardi. Voglio ricordare che fu votata da centrodestra e centrosinistra in combutta, e che con questo sistema si sono praticamente blindati all’interno del Palazzo, pretendendo di eliminare ogni tipo di pensiero alternativo. Ma, mi dispiace per loro, la Sardegna, di pensieri alternativi, è ricchissima».

Sia sincera, pensa di riuscire a ottenere almeno il suo seggio?

«Per noi essere qui è già una vittoria, soprattutto avere voce per richiamarli alle loro responsabilità. Sembrano tutti nati ieri… Sembra che il disagio, la povertà, i problemi che attanagliano la nostra terra, siano figli di nessuno. La Sardegna non deve essere così, coi ragazzi che se ne vanno, i territori che si spopolano, la gente che non si può curare. Noi abbiamo un’idea diversa, dignitosa, e poniamo questioni che non pone nessuno».

Ad esempio?

«Nel nostro programma c’è una pagina dedicata alla guerra e alla pace. E sono cose che ci riguardano molto da vicino dato che abbiamo quasi il 70% delle servitù militari. Abbiamo i ragazzi che si ammalano a causa dell’uranio impoverito sparato nei poligoni, e il silenzio che c’è intorno al dolore delle famiglie è sconvolgente. Ora c’è il pericolo scorie nucleari da non sottovalutare».

Bé, su questo sono tutti d’accordo a dire no.

«Io credo che le responsabilità siano personali e di appartenenza ai gruppi: come fa il centrodestra a dire che si oppone, quando il Governo Meloni stabilisce che il sito unico può andare all’interno delle aree militari? Questo non fa altro che aumentare le possibilità che le scorie vengano seppellite in Sardegna. Noi siamo qui per impedire a chi fa le cose, di scendere poi in piazza per protestare per quelle stesse cose, e questo vale per il centrodestra e il centrosinistra».

La sanità non gode di buona salute.

«Ecco, un altro esempio: lo sfascio della sanità, che è stata destrutturata e asfaltata, è responsabilità di chi ha governato la Regione negli ultimi dieci anni. Abbiamo dovuto subire a stretto giro due riforme radicali sbagliate, una tesa a far quadrare i conti, dell’altra, l’unica cosa chiara è stato lo spoil system».

Qual è la vostra visione del futuro energetico dell’Isola?

«Partiamo dalle responsabilità. Il disastro inizia nel 2020, con la Giunta Solinas che inizia a stendere un tappeto rosso agli speculatori che stanno calando come orde di barbari: con una delibera hanno eliminato una serie di vincoli preesistenti, poi non hanno fatto il piano energetico per adeguarlo alle nuove direttive europee sulla transizione ecologica, e hanno dichiarato non idonea solo una minima parte dell’Isola».

E il Governo nazionale?

«Ci arrivo, i governi Conte 2 e Draghi, con i decreti Semplificazioni e Aiuti, hanno spostato a Roma tutte le decisioni sul percorso di autorizzazione dei Parchi, togliendo voce alla Regione – che del resto non sapeva che farsene – ai Comuni e anche ai privati. Quindi, la responsabilità è di tutti, di tutti quelli che sono posizionati nei tre schieramenti, e il teatrino Soru-Mura-Todde fa ridere».

Detto questo, una vostra ricetta c’è?

«Certo. Noi abbiamo le materie prime, il sole e il vento, e la ricchezza che possono produrre deve essere diffusa. Come? Cercando di ampliare al massimo la possibilità che le imprese e le famiglie sarde diventino autoproduttori dell’energia che consumano, creando comunità energetiche, finanziando il solare sui tetti, non sui terreni agricoli. Poi, con un piano energetico decidiamo noi quanta energia ci serve, e quanta produrne per esportarla: a questo punto chiediamo al sistema imprenditoriale italiano di delocalizzare qui, con proposte sostenibili».

E il metanodotto? 

«Siamo contrari, la Sardegna è stata già abbondantemente penalizzata dal fatto che il metano non sia arrivato vent’anni fa, quando era necessario. Ora non vogliamo sia penalizzata dalla costruzione di un’opera che verosimilmente dovrà essere dismessa prima ancora di aver ammortizzato i costi».

Lo sviluppo economico dell’Isola attraverso quali direttrici passa?

«Industria sostenibile, turismo, e molto per l’agricoltura, che rappresenta lo strumento per evitare gli squilibri nella distribuzione demografica, andare verso una condizione di sovranità alimentare e conservare la vita nelle aree rurali. Ma se si vuole che le campagne diventino luogo di lavoro, di crescita economica e di produzione di ricchezza, non si possono tagliare i servizi nelle zone interne, pretendendo poi che la gente rimanga lì. È estremamente offensivo».

Siamo agli sgoccioli, cosa farà in questi ultimi giorni di campagna elettorale?

«Noi siamo gli “emarginati”, quelli con meno mezzi, ma abbiamo trovato grande solidarietà e generosità. Vediamo aumentare l’attenzione e l’apprezzamento per i nostri valori. Continueremo a incontrare la gente, e comunque vada, il fatto che sia nato un soggetto che speriamo sopravviva e cresca dopo le elezioni, che ha avuto l’opportunità di farsi conoscere, è entusiasmante». 

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