"Esprimo profondo rammarico e nutro il massimo rispetto per i dipendenti della Regione e, specificamente, per quelli del mio assessorato, e sono consapevole dei sacrifici e disagi ai quali si sono sottoposti soprattutto nel corso dell'ultimo anno". Con queste parole l’assessore regionale al Turismo fa mea culpa, dopo le frasi sui dipendenti regionali che approfitterebbero dello smart working reso necessario dalla pandemia per "produrre una percentuale di lavoro irrisoria". 

Travolto dalle polemiche, Chessa spiega che le sue affermazioni "erano il frutto non di un mancato riconoscimento del lavoro svolto, ma della frustrazione nel continuare a vedere che, a causa della pandemia, gli uffici sono costretti a lavorare sempre in un regime di emergenza, ciò che comporta necessariamente (ma per cause che non dipendono dall'impegno dei dipendenti) un rallentamento della macchina amministrativa e, quindi, l'impossibilità di raggiungere tutti i risultati che come Giunta e come assessorato avevamo programmato". Tuttavia, conclude, "mi rendo conto che le mie parole sono risultate fuori luogo. Chi mi conosce sa che è nel mio carattere utilizzare spesso espressioni simboliche e colorite, per enfatizzare i miei discorsi. In questo caso, lo riconosco, è venuto fuori un pensiero che non mi appartiene e pertanto ribadisco a tutti le mie scuse".

Ma l’opposizione incalza e i Progressisti chiedono addirittura le sue dimissioni, definendo le frasi pronunciate “vergognose”.

“Se la macchina amministrativa è andata avanti, con tutte le difficoltà del caso dovute alla pandemia, è grazie al lavoro quotidiano di chi ha svolto le proprie mansioni anche con il lavoro a distanza. Risultati raggiunti realmente, non le bugie raccontate con comunicati e annunci dalla Giunta e dal Presidente. Se l'obiettivo delle dichiarazioni dell'assessore durante il consiglio comunale di Dorgali era invece quello di migliorare la strada verso l'approvazione della legge sul poltronificio in discussione in Consiglio regionale, è necessario ricordargli che non è bene sputare sul piatto in cui si mangia: gli assessori passano, i lavoratori restano. E se usufruiscono dei buoni pasto è perché, a differenza di alcuni direttori generali, non fanno parte di quella cerchia ristretta di ‘amici’ che possono avere accesso ai pranzi esclusivi di Sardara”, si legge in  una nota diffusa dal gruppo in consiglio regionale.
“La produttività delle dipendenti e dei dipendenti regionali non è in discussione – proseguono i Progressisti -, ma sono invece inesistenti le capacità, la professionalità, le competenze, lo stile, l'educazione istituzionale, la capacità di lavoro della giunta e del Presidente. Per non parlare della conoscenza e del rispetto delle leggi e delle regole”.

Polemico anche il Pd, secondo cui “le scuse non bastano”. “Definire i dipendenti regionali come inaffidabili, svogliati se non lavativi, o perfino accusarli di  aver preso i buoni pasto malgrado fossero in lavoro agile, ignorando che i buoni pasto sono parte integrante della retribuzione, denota, purtroppo, un senso inesistente del proprio ruolo prima che quello altrui e pure scarsa conoscenza della situazione nella quale i  dipendenti in smart working operano: con linee telefoniche, adsl e strumenti personali; non ha, l’assessore, nemmeno la consapevolezza che l’amministrazione probabilmente non avrebbe neppure la possibilità di dotare ciascun dipendente di pc e connessione di servizio. La pandemia ha modificato certamente le condizioni di lavoro ma ha offerto e offre una straordinaria opportunità di innovazione. Non dovrebbe neanche dimenticare, l’Assessore, che i dipendenti hanno garantito la tenuta dell’amministrazione regionale, tutti i processi e i procedimenti”, si legge in una nota dei dem, che definiscono le parole di Chessa “vergognose e imperdonabili e che evidenziano, oltre alla pochezza del ragionamento di merito, una logica e un pensiero irrispettoso verso i lavoratori regionali”.

(Unioneonline/l.f.)

© Riproduzione riservata