Forse perché sospinta dalla necessità di “assecondare” le trasformazioni imposte da un vento nuovo di “cambiamento”, oppure perché semplicemente animata dall’esigenza di riconquistare la visibilità perduta, una certa parte della classe politica sembra oggi volersi rassegnare a vivere di suggestioni: tra possibili federazioni ed improbabili fusioni dell’attuale centrodestra comunque “unito” (la contraddizione terminologica è lapalissiana nella sua evidenza), il leader di Forza Italia sogna di realizzare “un (grande) partito repubblicano per governare col centro e la destra democratica”.

Stando a quanto riportato dalla stampa maggiormente accreditata, si tratterebbe di “trasformare in un movimento politico unitario quello che già oggi (sarebbe) il comune sentire di tanti elettori” della coalizione. Nulla quaestio, se questa fosse la motivazione unica e vera alla base della intervenenda trasformazione: sul piano prettamente strutturale ed organizzativo, se il progetto incontrasse l’entusiasmo e la condivisione della totalità degli “alleati” (e così non sembra essere considerata la contraria opinione di Giorgia Meloni nonché di molti gruppi parlamentari espressione della coalizione nella sua interezza), si tratterebbe della più articolata tra le “operazioni di palazzo” poste in essere negli ultimi tre anni. Dubito, tuttavia, che l’elettorato di riferimento delle forze partitiche interessate (e non solo), tanto disparato sul piano ideologico, quanto fiero sul piano identificativo della appartenenza, possa mostrarsi incline ad accettare di buon grado un simile “rimescolamento compromissorio” al ribasso siccome, per molti aspetti, chiaramente dequalificante financo per i suoi stessi interpreti.

Non per niente le criticità di una “operazione” di tal fatta si annidano quasi sistematicamente sulle cosiddette “dietrologie” (ossia sulle finalità nascoste che costituiscono le ragioni principali dell’agire) riflettendo all’esterno solo pallide ombre le quali, pur non essendo immediatamente percepibili nella loro consistenza sostanziale, ovvero nei loro effetti potenziali apprezzabili nel medio e nel lungo termine, tuttavia, ben possono apparire idonee ad ingenerare una certa confusione sul piano dei “fini”. Intendiamoci. Chi, fra i vari soggetti partitici, e/o leader di centrodestra, potrebbe trarre maggiore vantaggio dal procedimento di “fusione”? Come mai le trattative sembrano interessare solo i leader di Forza Italia e della Lega e non anche la leader di Fratelli d’Italia? E quale potrebbe essere la ragione ultima, e per ciò stesso determinante, che sembra sottendere un progetto destinato (parrebbe) a manifestare le ragioni significanti del suo esistere solamente nell’anno 2023 allorquando, sopraggiunta la naturale scadenza dell’attuale esperienza “unitaria” di Governo, tutte le forze politiche in campo saranno in fibrillazione per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica?

Ebbene: la chiave di lettura e di interpretazione delle circostanze in esame sembra celarsi proprio nella definizione solutoria di questi interrogativi. Le ipotesi potrebbero essere le più svariate, e tutte parimenti valide soprattutto in considerazione del repentino mutare delle circostanze contingenti le quali, a ben considerare, e con buona pace dell’acuto presidente degli Azzurri, non consentono il maturare di iniziative a lungo termine. Tuttavia, e ciò nonostante, credo si possano individuare taluni punti fermi sui quali articolare una riflessione compiuta e quanto più analitica sulla base degli elementi a disposizione.

Tanto per cominciare, non credo sia necessario consultare l’Oracolo per comprendere che l’intera “operazione”, specie perché condotta chirurgicamente a tavolino, sia massimamente funzionale agli interessi immediati e diretti tanto del segretario del Carroccio, il quale verosimilmente (incalzato dal pressing irresistibile esercitato da Giorgia Meloni) necessita di nuova “linfa” utile a ristabilire la sua primazia all’interno della coalizione, quanto del presidente Azzurro il quale, dal canto suo, appare largamente “condizionato”, nel suo agire, dall’esigenza impellente di “rivitalizzare” un partito oramai morente per aver naturalmente concluso, in considerazione del mutare del contesto sociale e politico di riferimento, il suo connaturale processo di esistenza.

In secondo luogo, Forza Italia, fino ad oggi baluardo di accesi principi liberali, sopraggiunta al limite della propria esistenza ontologica, e decimata nella sua consistenza numerica, sembra volersi rassegnare ad accettare un processo di progressivo assorbimento de-naturalizzante all’interno di partito identitario il quale, financo nell’espressione del suo leader, parrebbe contraddirne i valori pregnanti.

Inoltre, l’intera operazione, con buona verosimiglianza, lungi dal sortire l’effetto sperato dai principali suoi sostenitori, potrebbe invece riverberare i suoi effetti favorevoli a tutto vantaggio proprio di Colei (Giorgia Meloni) che si intendeva (e che si intende) colpire la quale, dal canto suo, forte della chiara e definita posizione acquisita per essere fieramente rimasta all’opposizione di un Governo numericamente assortito con il sostegno dei partiti attualmente interessati da un consistente calo di consenso elettorale, ha saputo conservare la propria matrice identitaria non solo rispettando il naturale sentire del proprio elettorato di riferimento, ma anche offrendo una dimensione partitica chiaramente definita e non fraintendibile a quanti, disorientati e/o ideologicamente traditi, desiderino riconoscersi in quella dimensione alternativa.

Infine, ma tanto altro vi sarebbe da osservare, lo scopo ultimo dell’intero progetto, laddove portato utilmente a compimento, e personalmente ne dubito considerati gli equilibri esterni ai circuiti decisionali del centrodestra strettamente inteso, potrebbe manifestarsi proprio in occasione dell’elezione del successore di Sergio Mattarella, allorquando ci si ritroverà gioco forza costretti a palesare i differenti “desiderata” interpretati dalle diverse forze politiche, e  che, nel caso specifico, potrebbero addirittura tradursi in una “candidatura” al Colle dello stesso Silvio Berlusconi, il quale parrebbe qualificarsi fin d’ora come soggettivamente ed ideologicamente idoneo ad esprimere la più alta carica dello Stato. L’iniziativa, a ben considerare, sebbene estemporanea, avrebbe una sua ragione, sia pure non condivisibile, solo se interpretata nei termini di una “fusione” siccome qualificarla nei termini di una “federazione” significherebbe contraddire, financo sul piano terminologico, l’idea stessa di “centrodestra unito” che avrebbe dovuto esprimere, e dovrebbe ancora esprimere, quanto meno negli intenti dei suoi protagonisti, l’unione tra due o più partiti perfettamente autonomi sotto una unica coalizione rappresentativa. Ma la politica degli ultimi anni ci ha abituati a considerare “stratificazioni” e tatticismi di varia consistenza. Per il momento, pertanto, sul versante di centrodestra, solo tanto rumore per nulla.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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