U n tempo fu Silvio Berlusconi il leader indiscusso e duraturo del primo partito dell'età postmoderna: Forza Italia, che dal 1994 al 2013 ha guidato in tutte le tornate elettorali la coalizione di centrodestra. Nella cosiddetta terza repubblica, si sono susseguite in rapidissima successione le leadership di Matteo Renzi e quella di Luigi Di Maio-Grillo. Entrambe consacrate da straordinarie vittorie, le europee del 2014, che consegnavano il 41% al Pd, e le ultime elezioni politiche che decretavano il Movimento 5 Stelle il partito più votato, con il 33% di voti.

Sia Renzi, sia Di Maio-Grillo hanno condotto fulmineamente le proprie formazioni in cima alle preferenze degli elettori, ma altrettanto repentinamente hanno trascinato dall'empireo all'inferno il proprio schieramento e soprattutto la loro leadership. Renzi ha perso tutto: elezioni e partito, gli resta solo la virtuale maggioranza del gruppo parlamentare, Di Maio si appresta a perdere tutto. Una parte consistente del suo elettorato si è dissolta, forse attratta dal dinamismo leghista oppure rifugiatasi nell'astensionismo. Allo stesso tempo, la rappresentanza pentastellata alle Camere è in fermento, perché lo ritiene il principale responsabile della cannibalizzazione a cui ha sottoposto lo schieramento in favore del più attrezzato e scaltro “alleato” Matteo Salvini.

Quando l'intera vicenda sarà consegnata alla storia, valuteremo le ragioni che hanno condotto questi leader a dilapidare un così consistente patrimonio di consensi e popolarità. (...)

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