M attarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum sono le denominazioni delle leggi elettorali con cui gli italiani hanno scelto i parlamentari nell'ultimo quarto di secolo. Quattro distinte modalità per eleggere deputati e senatori attraverso alchimie astruse per gli stessi esponenti che le hanno proposte.

È il 1994: quell'anno l'Italia archivia dopo quasi cinquant'anni il vecchio e collaudato sistema proporzionale. È la stagione della preferenza unica di Mariotto Segni e dell'ubriacatura maggioritaria di stampo anglosassone. Proporzionale è sinonimo di affarismo e di anti-meritocrazia, viceversa il collegio uninominale e la scelta del candidato incarna la panacea e simboleggia la risposta alla corruzione e alla decadenza dei partiti a carattere ideologico.

Contestualmente prende avvio un'inguaribile smania di riformare la legge elettorale ogni qualvolta venga a mancare in parlamento una solida e chiara maggioranza. L'Italia batte un record: è il Paese che approva il più alto numero di modifiche alla legge elettorale rispetto a ogni altra nazione nel mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Quattro in poco più di vent'anni. Adesso si appresta ad approvarne una nuova: la quinta, dettata dalla necessità di rispondere all'esito del recente referendum che ha ridotto di un terzo la numerosità delle due camere.

Certo, nella nostra classe politica si è ormai radicata la convinzione secondo cui lo schieramento che riesce a imporre un nuovo sistema elettorale viene poi avvantaggiato nel risultato.

D i conseguenza, il dibattito intorno a una delle leggi più importanti della vita istituzionale diventa più o meno simile a una battaglia campale. Si tratta di un comportamento emblematico, che non si riscontra in altri regimi democratici, perché solo in Italia le regole diventano un durissimo terreno di scontro che affonda le sue radici nei primi anni dell'età repubblicana, ovvero all'epoca della famosa “legge truffa”. Da allora, ogni ipotesi di modifica elettorale viene accusata di essere manipolatoria o portatrice di elementi di raggiro ai danni dell'opposizione o delle minoranze. Perciò, ogni formazione caldeggia un sistema che implicitamente esalti le caratteristiche del suo schieramento o della propria coalizione.

Attualmente, per esempio, per un centrosinistra a trazione Pd, ma con l'amletico dubbio di scegliere con quale interlocutore intraprendere una futura coabitazione di governo (pentastellati o sinistra più radicale), un ritorno alla proporzionale rappresenta la ricetta più conveniente, a patto di introdurre una soglia di sbarramento per annientare le fragili formazioni guidate da Renzi e Calenda.

Vi è poi un centrodestra dominato dal personalismo di Salvini e Meloni che rende l'alleanza sbilanciata su posizioni radicali, tali da schiacciare l'anima moderata di Forza Italia, propensa ad appoggiare una legge maggioritaria che premi la compattezza della coalizione.

In realtà, il vero ago della bilancia in questo difficile passaggio legislativo è rappresentato dalla palude di deputati e senatori che sentono approssimarsi la fine del mandato parlamentare e della loro esperienza politica. Il drastico taglio della rappresentanza ha prodotto delle consistenti fibrillazioni fra i partiti che sostengono l'esecutivo.

Il M5S artefice della riduzione più ampia di due assemblee elettive dell'ultimo secolo, si avvia a dimezzare la sua pattuglia parlamentare e rischia forti ripercussioni in relazione alla compattezza dello schieramento. Diversamente il Pd non può maramaldeggiare su Italia Viva che, alla luce delle percentuali da prefisso telefonico rischia di non superare la soglia d'ingresso, perché ciò si ripercuoterebbe sulla tenuta del governo.

In conclusione, per scongiurare il rischio di approvare una legge elettorale, con la certezza che nella prossima legislatura una nuova maggioranza si impegnerebbe a modificarla, si potrebbe proporre che qualsiasi modifica della formula elettorale entri in vigore solo a partire dalla seconda tornata elettorale, così da disinnescare ogni calcolo nel breve periodo.

MARCO PIGNOTTI

DOCENTE DI STORIA POLITICA

CONTEMPORANEA

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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