A lla fine in Emilia Romagna è stata una vittoria a sorpresa, che cambia gli equilibri nazionali. Se Stefano Bonaccini avesse perso, il governo sarebbe caduto. Dopo il suo successo, Conte respira.

Ma la guerra tra giallorossi e centrodestra non è finita, e in Campania e in Puglia al voto, in primavera, questo racconto incandescente scriverà uno dei suoi capitoli decisivi. Non c'è dubbio - intanto - che quello di domenica notte sia stato un colpo di scena. Da giorni nel centrosinistra crescevano i timori, e molti osservatori privilegiati, nonché profondi conoscitori del territorio - da Romano Prodi a Pier Luigi Bersani - in privato non nascondevano i loro dubbi sul rischio di uno “sfondamento” nella Lega, soprattutto nei territori appenninici. I sondaggisti dal canto loro erano completamente in tilt e registravano due dati apparentemente contraddittori e opposti: Bonaccini era in vantaggio, ma il centrodestra come coalizione risultava vincente. Possibile? In qualche modo sì, e non solo per effetto del voto disgiunto tra le coalizioni e il presidente che stavolta è stato altissimo. A far saltare il banco, però, sono stati i diversi livelli di partecipazione.

Questo pasticcio percettivo si è riverberato nelle urne e ha una sua spiegazione nella complessa cartografia elettorale contemporanea. Salvini ha effettivamente sfondato nella provincia, nelle periferie e sulla dorsale appenninica, ma in tre città cruciali - Bologna, Modena e Reggio Emilia - Bonaccini ha fatto cappotto e con un tale margine da ipotecare il risultato: mai la forbice fra centro e periferia fu così ampia.

L a destra vince in più luoghi, ma con meno distacco, la sinistra vince in città, con un margine altissimo. Ecco perché le cifre aggregate sono ingannevoli: Bonaccini ha preso 1.195.742 voti (il 51,4%), 181.070 in più della Borgonzoni (che si è fermata a quota 1.014.672). Ma se invece si disaggregano questi voti nei territori si fanno delle scoperte interessanti anche per capire come proseguirà la sfida. Per esempio, la vecchia “Emilia rossa” non esiste più. Nella politica contemporanea, ogni realtà è frammentata e concentrica. Se si annotano le prevalenze politiche con l'aiuto dei colori, dunque, ci si ritrova davanti agli occhi una cartina “bicolore”: la sua spina dorsale è una striscia densa stretta e rossa (dove ha vinto Bonaccini). Ma una superficie molto più ampia (il grosso della regione) è a prevalenza verde Lega (o blu, a seconda che si legga il dato del primo partito - quello di Salvini - o della coalizione, il centrodestra).

È nella dorsale della via Emilia, dunque, andando da Bologna verso Modena e Reggio nell'Emilia (qualche sfumatura di rosso sopravvive fino a Ravenna passando per Cesena, Forlì e Imola) che Bonaccini ha vinto, costruendo il suo tesoretto di consenso: 132.000 voti in più della Borgonzoni nel bolognese (due terzi della differenza totale!), 40.000 a Modena, 43.000 a Reggio Emilia. Il segreto della vittoria del governatore, dunque, è quello che è mancato a Massimo Zedda in Sardegna: tantissimi voti (fino al 65%) in zone ad alto tasso di popolazione e di partecipazione al voto. I numeri ci dicono come proseguirà la guerra tra le nuove coalizioni. 1) La prima è di nuovo la sfida del centro contro le periferie, in Italia come in Occidente. 2) È la prima volta dalla Brexit in poi, che “le città” progressiste prevalgono sulle campagne “conservatrici”. 3) In questa mobilitazione che ha spostato consensi su Bonaccini desertificando il M5S in nome del “voto utile”, le sardine hanno avuto un ruolo decisivo. 4) La stagione tripolare iniziata con le politiche del 2018 è finita, si torna allo schema destra contro sinistra.

La grande domanda adesso è: cosa accadrà quando si esce dai confini della regione rossa? Salvini è convinto che tornerà a vincere, perché di Bologna, come dice scherzando, “ce n'è una sola”. E aggiunge: «Per noi avere un emiliano romagnolo su tre che vota Lega è comunque un trionfo». E infine: «Comunque con gli stessi numeri, se si fosse votato in Italia, avremmo vinto». Il che è parzialmente vero.

Gli alleati sostengono che la sfida è stata persa “al centro”. E che è accaduto per un errore del leader leghista, la famosa “citofonata” di Salvini al quartiere Pilastro. Adesso la sfida si sposta in altre due regioni chiave: Puglia e Campania. Qui la sfida tra centro e periferia diventerà definitiva. Se il governo regge alla campagna di primavera di Salvini, scongiura il voto anticipato, ed elegge il presidente della Repubblica con questo Parlamento. Perché si vota a Bari e Napoli, ma la vera posta sono Palazzo Chigi e il Quirinale.

LUCA TELESE

GIORNALISTA

E AUTORE TELEVISIVO
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