Q uesto maledetto virus non poteva tenere il calcio fuori dal suo raggio d'azione, dopo aver annientato il tessuto economico nazionale e fatto collassare quello sanitario. Con previsioni ancora più nere, per il pallone, dopo i risultati - non quelli del campo - di metà 2020: botte da 150, 200 milioni di buchi, dal colpo delle gare a porte chiuse - la Juve, per esempio, si ritrova con 50 milioni in meno - alla scomparsa del co-marketing, tutte quelle attività legate al giorno della partita. I nostri club devono fare i conti anche con una passione messa a dura prova dall'impossibilità di alimentarla: se i tifosi restano lontano dalla loro squadra, esiste il rischio che l'emergenza diventi abitudine e la passione si affievolisca, o prenda altre strade.

I top manager del nostro calcio, l'ultimo è stato Beppe Marotta dell'Inter, chiedono un sostegno reale (dallo Stato) a un movimento che scricchiola: in Serie A le perdite complessive stanno superando il miliardo di euro, ovvero non sarà più possibile garantire organici di un certo spessore anche per i club più attrezzati. Uno show senza stelle, che dovrà reinventarsi per continuare a piacere.

A proposito di show, nessuno sentiva il bisogno - in un momento come questo - di fermare i campionati per mandare in giro per il mondo i calciatori a giocare amichevoli con le loro nazionali. Nessuno ne aveva voglia, ma è successo. L'Italia sperimentale, per esempio, partecipa a un torneo di importanza zero. (...)

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