U na di quelle sveglie, come dicono quelli che giocano spesso, da non dimenticare in fretta. Se il tifoso piange, perché cinque reti sul groppone in avvio di stagione sono un tremendo segnale, l'osservatore più attento non vede solo nero. Atalanta-Cagliari è stato per lunghi tratti uno spettacolo, ma gli ospiti - quelli in maglia gialla - non hanno sempre e solo recitato da comparse. L'onestà intellettuale di Eusebio Di Francesco, che ha cambiato sceneggiatura perché non ha gli attori giusti per recitare quel copione, è stata premiata in alcuni momenti. Frammenti, fiammate, ma il gol del pareggio, la reazione sul campo, la sfacciataggine di affrontare una squadra da PlayStation a testa alta, tutto questo non lo leggi nel tabellino finale (tremendo, impietoso) ma te lo porti a casa, perché significa che questa squadra sta modificando il suo Dna e la strada potrebbe essere quella giusta.

Tuttavia, il risultato, per dirla alla Godin, continua a essere il metro di valutazione: nel Cagliari mancano qualità e quantità, per giocare un campionato dignitoso. È vero che l'Atalanta ha segnato tredici volte nelle prime tre giornate, che è costruita per fare bella figura in Champions League e al secondo turno ha vinto a Roma con la Lazio, ma se a un certo punto sembrava la sfida del giovedì contro la Primavera, le perplessità non possono finire sotto il tappeto. Né il ritorno - improbabile - di Nainggolan rappresenta l'unico rimedio. I top rossoblù possono dare di più. (...)

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