E'apparentemente piacevole, di questi tempi, essere un docente di diritto. Ci si sente, stranamente, al centro dell'attenzione.

Tutti parlano di diritto: i giornali, le trasmissioni televisive, la radio, il web. E tutti sembrano padroneggiare i concetti, la terminologia giuridica: prescrizione, decadenza, ineleggibilità, rogatorie, misure cautelari, decreti ingiuntivi, lodi e sentenze varie, provvisorie o definitive. Eppure, ricordo nitidamente, molti anni fa, il mio primo tentativo di leggere un manuale di diritto. Un incubo: inaccessibili mi sembrarono sia il linguaggio che il merito, anche nei passaggi apparentemente più semplici. Cosa è accaduto da allora?

Una prima, rassicurante risposta potrebbe venire dal progresso, dalla più diffusa scolarizzazione: la gente è più colta, più consapevole, più incline ad affermare i propri diritti, meno a subire prevaricazioni. È forse questa la spiegazione? A pensarci bene, credo di no. Temo che, più realisticamente, siano altre le ragioni di questa straripante quantità di diritto, discusso e praticato.

1) Probabilmente si sono rarefatte le altre forme di disciplina dei rapporti interpersonali. Evaporando i valori, la fiducia reciproca, l'inclinazione a collaborare si tende a pensare che un valido surrogato possa essere il diritto. In effetti, se chi dovrebbe non mantiene la parola data occorrerà rivolgersi ad un giudice per avere soddisfazione.

2) La sostanziale paralisi della macchina giudiziaria incentiva a non adempiere. L'Italia è il Paese ideale per chi ha torto. Infatti solo eventualmente, dopo anni e senza aggravi significativi, si verrà condannati a mantenere la parola data. Conviene quindi non adempiere; nel frattempo l'altro adirà un giudice e se ne parlerà.

3) L'epoca dei consumi di massa, dei beni materiali, comporta la necessità di difenderli brandendo il diritto. Auto, moto, case, imbarcazioni, consumano il territorio, generano traffico, congestione. Non c'è più spazio, sgomitiamo, litighiamo e, quando va bene, ricorriamo al diritto.

4) Il progresso tecnologico sì, genera benessere, ma anche un senso di autostima, longevità, infallibilità e chiunque si interpone, ci cura male, ci critica, ha torto e merita subito un'azione giudiziaria.

5) La Politica, ormai priva di alcun fondamento etico, non volendo depurarsi dai comportamenti censurabili, lascia spazio alla supplenza del diritto. Se un parlamentare condannato si dimettesse da solo non passeremmo mesi a parlare di decadenza, retroattività ecc. Allo stesso modo, se si volesse restituire sovranità al Popolo, consentendogli di scegliere i propri rappresentanti non parleremmo, per decenni, di una irriformabile legge elettorale. Salvo scoprire, che è -in parte- incostituzionale, con conseguenti nuove implicazioni giuridiche, interpretazioni, ecc.

6) Uno Stato leviatano, che occupa ogni ambito dell'esperienza, produce enti, incarichi, compiti, deve poi

immancabilmente regolarli: e questo produce nuove regole, nuovo diritto. Ma genera anche debito e ciò induce l'Unione Europea ad aprire una procedura di infrazione: ancora più diritto.

7) La recessione economica, la mancanza di stimoli, di appetiti, di prospettive, costringe chi ha a proteggere i suoi averi e chi non ha a lamentarsene. Ambedue, per avere soddisfazione, ricorreranno al diritto.

E non finisce qui. Il diritto produce diritto: nuove regole, nuove interpretazioni, nuovi soggetti ad ogni livello: sovranazionale, europeo, nazionale, regionale, ecc..

L'incertezza normativa costringe poi anche i privati a mettersi al riparo ed anche i contratti, per voler disciplinare ogni evenienza, aumentano di volume.

Troppe leggi, diceva Tacito, favoriscono la corruzione: più difficile esercitare un diritto, più facile chiedere un favore, salvo poi doverlo restituire. Non solo; di peggio c'è che abbiamo smesso di parlare di progetti, di ambizioni, di cultura, di lavoro, di futuro.

Siamo prigionieri della spirale del diritto, dalla quale, di questo passo, non riemergeremo più.

Aldo Berlinguer
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