È facile immaginare la scorsa riunione dell'Eurogruppo: l'Italia, assieme ad altri Paesi, chiedeva di attingere da ingenti prestiti europei per fronteggiare le conseguenze del Covid 19, non voleva sottostare a condizioni e pretendeva dunque di aggiungere il nuovo debito ai 2.450 miliardi già maturati sino ad oggi: una cifra ormai corrispondente al 140% del nostro Pil.

È dunque arrivato a Bruxelles il Premier di turno (il sesto negli ultimi dieci anni) a battere i pugni e invocare i valori costitutivi dell'Europa. Dopo averlo fatto decine di altre volte per tante altre ragioni (Quota 100, reddito di cittadinanza, calamità varie..ecc.). Facile è dunque immaginare l'espressione assunta dai nostri interlocutori i quali, come ci raccontano, sono brutti e cattivi. Più difficile è invece comprendere quale esatta percezione i nostri partners europei hanno di noi e se l'immagine è nitida, sfocata, unica o molteplice, come accade nei disturbi della personalità.

Gli italiani, infatti, sono notoriamente un popolo di risparmiatori che, per ingegno e fatica, si è fatto valere ovunque. Un popolo che si sacrifica per garantire una laurea ai figli, evita rischi eccessivi, investe nel mattone e riesce così a trasferire gli immobili alle nuove generazioni. Le famiglie italiane sono più coese delle altre, vivono in nuclei allargati e realizzano così forme di mutualità ambite in tutto il mondo. Siamo anche restii al cambiamento, paurosi dell'imprevisto e ci fidiamo poco del prossimo; al più, di persone note e competenti.

Questo lo sanno i nostri interlocutori a Bruxelles. Che però vedono arrivare, dall'Italia, delegazioni di altra specie. Rappresentanti, anche giovani, che spesso una laurea non ce l'hanno; sovente litigiosi e sempre divisi. Persone che parlano di presente e quasi mai di futuro; pronte a spendere, mai a risparmiare. Sono tutti disinvolti questi politici italiani, ossessionati dalla comunicazione e indifferenti al merito. E tutti, o quasi, inclini a indebitare il Paese, anche a costo di ipotecare il Colosseo, gli scavi di Pompei o la torre di Pisa, oltre alla vita delle nuove generazioni. Del resto, il domani non sembra preoccuparli, chi vivrà vedrà.

Insomma, avranno avuto il dubbio, i nostri interlocutori, di aver davanti un Giano bifronte, con disturbi dissociativi d'identità (DID). Ricordate il caso Billy Milligan? Il ragazzo di Miami con sindrome di personalità multipla? All'interno di quell'uomo si nascondevano, in effetti, 24 vite diverse; 24 individui con età, attitudini e pure accenti differenti. Non fu facile giudicarlo ma (caso più unico che raro) Billy venne dichiarato non imputabile. Non poteva controllare -si disse- ciò che ciascuno di quegli individui faceva dentro di lui. E così nessuna condanna, nonostante avesse commesso molti crimini.

Sarà quindi che (oltre al Covid19) molti italiani abbiano contratto la sindrome di Milligan, pronti a recitare più parti al contempo? Oppure sono solitamente due le parti che amiamo recitare: quella privata, che corrisponde al popolo che siamo, e quella pubblica, incarnata da i nostri rappresentanti?

Di quest'ultima spesso ci dimentichiamo, sembra che non ci appartenga. Ma esiste eccome e ad essa abbiamo affidato il nostro futuro. Avrebbero dovuto crederle a Bruxelles? Fidarsi i partners europei dei nostri rappresentanti più di quanto non facciamo noi stessi italiani? Lo ha scritto troppo bene, in una lettera al Presidente Conte, una ristoratrice che ha appena chiuso i battenti: «Caro Presidente, grazie ma non mi indebito più per lavorare. Chiudo e prendo il reddito di cittadinanza».

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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