P rosegue, durissima, la quarantena nazionale. Il malessere cova sotto la cenere e cresce silenzioso, almeno sin quando la paura vincerà l'ambizione, il profitto, la fame. Ma il letargo si sta schiudendo ed il risveglio si annuncia minaccioso. Presto avrà sfogo la rabbia di chi, ancora sbigottito da ciò che è accaduto, si accorgerà dei danni subiti e cercherà un capro espiatorio, un nemico da accusare.

Del resto, nessuno avrebbe immaginato che, dopo secoli di ricerca scientifica e tecnologica, saremmo dovuti ricorrere alla quarantena, già utilizzata nel 541 con la peste di Giustiniano, per fronteggiare un virus. Scienza e tecnologia, che sembravano aver conquistato il dominio assoluto, si sono infatti dimostrate inermi dinanzi alla pandemia e gli scienziati hanno balbettato, come sempre, divisi tra loro.

È quindi difficile, ora, appellarsi alla ragione - che nessun rimedio ha portato - per arginare la rabbia. E troppo tardi è rifarsi alla fede che, in questi giorni, con le chiese chiuse, è rimasta silente, confinata tra i sentimenti individuali più intimi.

Questo vuoto lo ha avvertito, sicuramente, anche Papa Francesco.

I l Papa, a piedi, è andato a genuflettersi davanti al crocifisso di San Marcello al Corso. E poi ha impartito “urbi et orbi” la benedizione eucaristica attraverso i media.

Ma non tutti hanno raccolto il gesto, frastornati dalle voci dei social, dalle false certezze dei dibattiti televisivi, dai titoli dei giornali.

Il recupero, disperato, della sacralità, del mistero cristiano, dinanzi allo sbriciolarsi delle certezze umane, è dunque passato sotto silenzio. Sepolto da un oblio durato anni in cui, per recuperare un rapporto terreno con i fedeli (e riempire le chiese vuote), si sono trascurate la trascendenza, l'immanenza, la catechesi: da sempre sicuro bastione per superare le intemperie umane.

Qualcuno infatti si domanderà: perché, nel momento dell'apocalisse sanitaria, dinanzi al fallimento della ragione, non v'è stata la rivincita della fede? Perché anche il clero, invece di rinvigorire la ritualità liturgica, è rimasto afono, in un cono d'ombra?

La risposta è semplice: anche la fede, da molto tempo, si è fatta terrena. E come tutte le cose terrene (non ha dominato ma) ha subito gli eventi di natura.

La dignità della persona umana, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà: valori inestimabili della dottrina sociale della Chiesa (che tutti sinceramente amiamo e rispettiamo) non hanno dunque retto alla forza travolgente della pandemia. Come non v'è tempio, trasformato in ricovero, o altare adattato ad ospizio, che possa resistere alle tragedie umane. Al massimo quelle vestigia, riattate a presidio sociale, potranno lenire drammi e dolori di coloro che ultimi, non trovano riparo. Ed è giusto che la Chiesa, se vuol mantenere vocazione universale, si faccia interprete della globalizzazione canalizzando il travaso e attutendone gli smottamenti. Ma la Chiesa è anche altro.

Torniamo dunque ai simulacri vuoti? Ad una Chiesa altera, distante, sontuosa? No, la lezione pastorale di Papa Francesco è stata fin troppo profonda ed eloquente. Occorre recuperare un rapporto vivo con chi crede offrendo una casa a chi non ce l'ha.

Ma la casa non è solo tetto e mura, è anche ricovero del bisogno spirituale. È luogo di accoglienza prima dentro e poi fuori di noi. Altrimenti non è.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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