S ono passati ormai sessant'anni da quando i trattati europei hanno creato il mercato interno, così contribuendo a realizzare il sogno di un'Europa senza dazi, barriere, ostacoli alla circolazione di persone, merci e capitali. Costante è stato anche il lavoro della giurisprudenza europea che ha sistematicamente demolito molti degli ostacoli ogni volta ricreati dagli Stati. Si è così costruita una Comunità su uno spazio economico comune, mentre un corrispondente spazio politico era (ed è tutt'ora) ancora un miraggio.

Oggi il mercato comune è una realtà che consente agli operatori economici di spostarsi liberamente. L'idea di fondo è semplice: il mutuo riconoscimento. Ognuno si muove con in tasca la patente professionale rilasciata a casa sua. Altrettanto semplici le conseguenze: risultano avvantaggiati imprese e professionisti che, avendo percorsi di abilitazione, pur selettivi ma meno lunghi e onerosi nei paesi d'origine, riescono a essere più competitivi degli altri.

Ricordate la Direttiva Bolkestein e lo spettro degli idraulici polacchi? Si era temuto che questi ultimi, non avendo particolari oneri abilitativi nel loro paese, avrebbero soverchiato i loro concorrenti europei. Questo, per fortuna, non è avvenuto ma la lezione è stata chiara: gli Stati che continuano a burocratizzare i percorsi di abilitazione vedranno decimati i propri professionisti a vantaggio dei competitors europei.

Abbiamo imparato la lezione? C'è da dubitarne.

B asti guardare il caso degli impiantisti italiani, i quali, per poter operare, devono esibire, presso le Camere di Commercio (ex DM 37/2008), titoli o attestati provenienti dalla scuola statale o dalla formazione professionale regionale. Devono avere un diploma di laurea in materia tecnica specifica o un diploma o qualifica conseguiti presso un istituto statale o equivalente, seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore. Oppure devono avere un titolo o attestato di formazione professionale, previo periodo di inserimento di almeno quattro anni consecutivi. O ancora aver svolto prestazioni lavorative alle dirette dipendenze di una impresa abilitata per almeno tre anni, escluso il periodo di apprendistato.

Si noti che la predetta disciplina non contempla le certificazioni che il Ministero dello sviluppo economico, tramite Accredia, rilascia con validità internazionale (Iso-En-Uni-Cei ecc.). Per cui un manutentore elettrico certificato (con competenze Iso 17024) potrebbe operare in tutto il mondo ma non essere abilitato presso le Camere di Commercio in Italia.

In analoghe, aberranti condizioni, si trova buona parte dei lavoratori autonomi che svolgono professioni tecniche. Con il che il percorso italiano all'autoimpiego assomiglia più a una via Crucis che a un avviamento professionale, a tutto beneficio dei concorrenti stranieri.

La situazione, in Sardegna, appare a tratti peggiore (se è possibile). Ad esempio, agli elettricisti e termoidraulici che operano sulle fonti da energie rinnovabili (FER) è imposta una formazione obbligatoria (ex d.lgs 28/2011) che va dalle 16 alle 80 ore; formazione che dovrebbe essere erogata dalle singole Regioni mediante proprie agenzie formative. Ma sino ad oggi gli impiantisti sardi sono stati costretti a recarsi altrove poiché la regione Sardegna (da buon'ultima) ha completato le procedure per l'accreditamento delle agenzie formative solo negli scorsi giorni, con 4 anni di ritardo. Il ritardo, per la formazione dei conduttori di impianti termici (caldaisti) ha raggiunto addirittura i 13 anni, con costi e disagi non difficili da immaginare.

Omettiamo, per ragioni di spazio, tutti gli ulteriori adempimenti cui un installatore di impianti d'aria condizionata o refrigerazione è oggi tenuto (ex Dpr 146/2018), per asserite ragioni di protezione ambientale. Quando risultano esentati dagli stessi adempimenti gli impianti di treni, aerei e navi, che di gas fluorurati ne rilasciano non pochi.

Morale? Chi possiamo biasimare per quanto sopra? La globalizzazione? L'Europa? La Merkel? Intanto gli impiantisti sardi, disperati, hanno costituito una nuova Associazione per tutelare le loro ragioni. Non resta che chiedersi: quali nuovi, ulteriori adempimenti graveranno sulla neonata Associazione?

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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