P assate le elezioni regionali, ecco, per giorni, il solito carosello di analisi, commenti, dibattiti nei quali ciascuno cerca di propagandare la sua verità. Così la Lega, col 32% dei voti, diventa la grande sconfitta, i pentastellati fanno finta di niente, il Governo si sente rinvigorito. Torna in mente la famosa frase di Schopenhauer: il più frequente errore dell'uomo è quello di ricercare le cause partendo dalle conseguenze.

Tutti concordano però almeno su un punto: il ritorno del bipolarismo, destra e sinistra di nuovo contrapposte. Vengono così elusi alcuni importanti interrogativi: l'Emilia Romagna è una regione florida grazie o nonostante la classe dirigente? La Calabria è depressa per lo stesso motivo? Quale “modello emiliano” andrebbe esportato altrove? Quale modello alternativo è stato proposto?

In effetti questo bipolarismo appare sbiadito. Tornano vecchi slogan, parole d'ordine, antichi feticci. Manca invece quasi del tutto l'elaborazione di modelli di società che i partiti dovrebbero adottare anzitutto al loro interno. Come dire: predicare bene e razzolare altrettanto. Ma - si sa - l'esercizio è scomodo, non conviene, a partire da alcuni punti nodali.

Meritocrazia. Ha capito la sinistra che la nuova frontiera del socialismo è la meritocrazia? Che il Paese ne ha un bisogno estremo e che la vecchia ricetta di spesa pubblica e tassazione porta al tracollo di tutti (sinistra inclusa)? Istruzione. L'Italia è spesso bacchettata per scarsi investimenti in ricerca, innovazione, istruzione: una vera emergenza nel nostro Paese.

L a risposta dei partiti? nominare ministri non laureati. Possibile? Quale forza politica renderà prioritaria la scolarizzazione delle classi dirigenti, iniziando dalla propria?

Parliamo poi di Stato e mercato. Da che mondo è mondo il socialismo si fa con le politiche pubbliche. Ma se per cinquant'anni lo Stato è stato utilizzato come occupatore seriale, ammortizzatore sociale, corrispettivo per politiche clientelari ed oggi è un rottame inefficiente, il socialismo chi lo fa? Il mercato? Ci rendiamo conto che praticare il socialismo, in Italia, è come fare il Grande Slam con la racchetta rotta?

Globalizzazione. Se i salotti dei benpensanti, i girotondi, i solidaristi romantici predicano l'abbattimento delle frontiere e la globalizzazione economica, a chi tocca difendere lo Stato? Alla destra? Possibile non capire che la globalizzazione uccide (non vivifica) i diritti sociali conquistati in tanti anni? D'altra parte, chiudere le frontiere (ammesso che ci si riesca) può bastare ad affrontare la globalizzazione?

Passiamo all'ordine pubblico. Ricordo ancora una battuta di Enrico Berlinguer: «Il governo ideale sarebbe tutto di sinistra col solo ministro dell'interno di destra. Lì non siamo attrezzati». È ancora vero? Nessun avanzamento culturale da allora? Eppure nei sistemi socialisti ordine e sicurezza erano (fin troppo) garantiti. E i confini erano presidiati. Ricordate Berlino Est?

Capitolo sviluppo economico. I tempi, è vero, sono cambiati: oggi il conflitto non è più tra impresa e lavoro ma tra ceti produttivi e ceti parassitari. La sinistra da che parte sta? Perché domenica scorsa Bonaccini e Callipo sono stati votati in larga parte da dipendenti pubblici e privati. Mentre imprenditori, artigiani e professionisti hanno votato in prevalenza a destra? Come si fa a generare sviluppo economico se non si rappresenta chi fa il Pil? Anche la Lega dovrebbe chiederselo: Stato o mercato? Una forza sovranista può essere liberale?

Infine l'ambiente. Qualsiasi problema ambientale in Africa, Asia, America latina in pochi giorni bussa a casa nostra. La concentrazione delle produzioni globali in Paesi che non tutelano l'ambiente sta producendo disastri irreparabili. Oggi tutelare l'ambiente significa riportare la produzione in Europa. Ma allora, come conciliamo industrialismo e ecologia? Il mito sovietico della fabbrica fumante, simbolo dell'operaismo, non è riproponibile. Quali nuove ricette politico-culturali su questo tema cruciale?

Potremmo continuare per ore. Scopriremmo che le forze in campo, su tutto questo, non hanno elaborato alcunché. Finché non lo faranno, il bipolarismo resterà solo una narrazione utile a semplificare, a demonizzare l'altro, ad anteporre protesta a proposta (che non c'è). D'altronde non avere un avversario significa confrontarsi con sé stessi e farsi tante domande. Di questi tempi, meglio evitare.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
© Riproduzione riservata