S pira forte il vento elettorale, si moltiplicano gli slogan, impazzano le false promesse, impera un'imbarazzante vacuità. L'impressione è che chiunque vincerà (non essendoselo prefissato) non riuscirà a combinare nulla di concreto.

Continuano a sventolare, in (quasi) tutti gli schieramenti, le bandiere di destra e sinistra: sempre utili ad orientare gli elettori. Se non altro hanno il pregio dei cartelli stradali: non si sa chi li ha messi, se sono veritieri ma, nel dubbio, conviene seguirli.

Tornano così a mente le lunghe discussioni che, sin da bambini, si facevano sull'essere di destra o di sinistra. Discussioni molto spesso tra sordi, rivolte com'erano ad affermare la propria verità piuttosto che ad ascoltare quella altrui, facendosi largo tra i consueti pre-giudizi.

Toccava ad esempio spiegare che essere di sinistra non significava abbracciare, come modello di vita, l'operaismo; rotolarsi gioiosi nel grasso dei motori, fare il bagno negli idrocarburi o giocare con le chiavi inglesi. Così come non poteva cavarsela chi, da destra, diceva: “Io sono per l'ordine”.

È venuto poi il tempo di spiegare, anche a chi si professava di sinistra, che per poter garantire servizi adeguati lo Stato doveva essere efficiente. Non poteva essere usato come occupatore seriale per aspiranti al posto fisso, né alimentare simili aspettative. Era del resto intuibile che uno Stato inefficiente avrebbe finito col diventare un nemico, dando ragione a chi sosteneva che di esso si poteva fare a meno, ridurlo al minimo e lasciar spazio al mercato. (...)

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