Che l’Europa stia cambiando, o stia cercando di farlo nel tentativo di rafforzare la propria autonomia come unitariamente intesa, non è più un mistero per nessuno: ne fornisce ampia ed inequivocabile dimostrazione, l’ancora non definitiva serie di misure che le consentiranno di conquistare un ruolo determinante e di incidere maggiormente in ambito di politica estera.

I meccanismi previsti e disciplinati dall’articolo 24 TUE, infatti, farraginosi e probabilmente desueti se valutati nel loro momento applicativo, fino ad oggi hanno contribuito ad incancrenire un sistema di intervento fondato sul cosiddetto metodo “intergovernativo” che ha riconosciuto, e riconosce agli Stati ed ai loro litigiosi rappresentanti, un ruolo centrale in seno al Consiglio dell’Unione ed al Consiglio Europeo i quali ultimi, a loro volta, necessitando di deliberazioni assunte all’unanimità, hanno contribuito a paralizzare, e paralizzano di fatto, l’azione esterna dell’Unione.

Intendiamoci: non si tratta di un tentativo di limitare lo strapotere dei “Paesi di Visegrad”, ossia dei cosiddetti “Frugal Four”, per quanto questo, in apparenza, possa apparire, tra gli altri più o meno dichiarati, come l’obiettivo da raggiungere, quanto piuttosto, e sorprendentemente, e per quanto di ragione contraddittoriamente, di rafforzarne le politiche internazionali e le dinamiche interne attraverso il riconoscimento, alla Commissione, della possibilità di inserirsi indisturbata nella politica estera mondiale lasciando impregiudicate le competenze delle istituzioni previste nei Trattati.

Il tutto attraverso la elaborazione di un documento, il “Nuovo Strumento Anti-coercizione”, il quale, nonostante formalmente concerna gli scambi commerciali, e si sostanzi nella imposizione di dazi, di divieti di importazione, di provvedimenti “ad personam”, tuttavia, avrebbe la peculiarità di non andare soggetto alla regola dell’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione. Se si tratti di uno “scacco matto” ai grandi potentati internazionali, o invece di puro e semplice tentativo di smarcare i meccanismi decisionali dall’intervento statalista di taluni Paesi Membri, allo stato, per quanto io non lo creda fino in fondo, è complicato sostenerlo, e probabilmente l’intento vuole essere, apparentemente ma non troppo, duplice ed ambivalente siccome il perseguimento del primo obiettivo (ossia quello relativo al contenimento dei poteri dei player internazionali) contribuisce inevitabilmente a portare a definizione il secondo (ossia quello relativo alla semplificazione dei meccanismi decisionali unionali) senza tuttavia comprimerlo considerata la specifica materia interessata e l’ingerenza pregnante dei Membri potenzialmente interessati.

L’esigenza, tutt’altro che velata, sembra essere quella di regolare il settore degli scambi commerciali, strategici per loro stessa natura perché direttamente ed indirettamente riconducibili agli assetti politici globalizzati ed ai rapporti di forza tra le parti coinvolte nelle varie operazioni, senza perdere di vista l’analisi accurata del contesto geopolitico ed economico circostante. L’idea non sarebbe erronea, o meglio, idealmente, non avrebbe le caratteristiche per porsi nei termini dell’assurdità. Ma siamo davvero sicuri che sia anche solo astrattamente perseguibile nell’ambito di un contesto territoriale che, per quanto vasto, risulta a tutt’oggi disomogeneo nelle sue stesse articolazioni statali? Siamo davvero sicuri che siffatta iniziativa Europea non riverberi il suo “effetto boomerang” proprio su se stessa contribuendo a radicalizzare, come anticipato in epigrafe, i più disparati istinti nazionalistici? Quali saranno i Paesi Membri che maggiormente potranno avvantaggiarsi del nuovo approvando “strumento di coercizione”? E non ultimo: queste iniziative avranno la forza incidente necessaria per poter operare come deterrente nei confronti della Cina, scoraggiandone le iniziative, e/o degli altri importantissimi attori quali gli Stati Uniti e la Russia?

Io sinceramente, e con riferimento a quest’ultimo interrogativo, sarei propensa ad azzardare una risposta decisamente negativa, non fosse altro che per la disarticolazione politica interna al contesto comunitario il quale, accanto a Membri decisamente “di peso” sul piano del confronto democratico e della strutturazione interna, annovera, altresì, Membri la cui conformazione politica interna ancora risente della mancanza di un processo di compiuta “democraticizzazione” e, di conseguenza, sono, o comunque sarebbero, portati a vivere siffatto definendo intervento, come un vero e proprio attacco al “sistema” di cui avvalersi, all’occorrenza, per portare avanti le proprie rivendicazioni. Non sempre ogni incremento di potere dell’Unione Europea considerata nel suo complesso unitario, infatti, si traduce in un corrispondente consolidamento della stabilità interna e della libertà economica dei suoi Membri.

Se volessimo dirlo altrimenti, ed in maniera più spicciola, saremo obbligati ad osservare che se la Cina rappresenta l’obiettivo naturale di siffatta “predisponenda” nuova arma commerciale, tuttavia, non mancano Paesi Membri che sarebbero ben lieti di avvalersi di quella stessa arma al fine, chiarissimo e per nulla celato, di affermare gli interessi europei, e propri nazionalistici, contro gli stessi Stati Uniti, andando ad ostacolare così l’avanzata verso oriente dell’Alleato per eccellenza. Il “fraintendimento” geopolitico considerato è tutt’altro che di scarso tenore, ed in moltissimi casi, potrebbe contribuire a de-contestualizzare l’Unione rispetto alla sua storica collocazione “atlantica” ed “atlantistica”.

Sì, l’Europa sta cambiando: le Istituzioni, da ora in avanti, se vorranno continuare ad esistere e resistere, dovranno necessariamente operare una scelta di campo. Dovranno scegliere tra le ragioni di salvaguardia delle economie stataliste interne e quelle di rafforzamento del sistema comunitario rispetto agli attacchi esterni che, comprensibilmente, presuppongono, la gravissima limitazione delle prime in loro esclusivo pregiudizio. E’ arrivato il momento di ripensare con decisione al modello di crescita dell’Unione cercando di uscire dalla mentalità “emergenzialistica” per entrare finalmente in una dimensione “strutturalista”. Purtroppo i tempi non sembrano essere ancora maturi. E di questo saremo chiamati a pagare lo scotto attraversando un lungo periodo di recessione di cui il nuovo redigendo strumento di anti-coercizione appare essere il riflesso più immediato.

Giuseppina Di Salvatore

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