Si è conclusa ieri in Messico la campagna elettorale più sanguinosa della storia, con almeno 35 candidati assassinati e altri 782 che hanno subito aggressioni di vario genere in vista del voto che si terrà domenica prossima.

Il Paese entra, dunque, in una pausa di riflessione segnata dalla viva tensione per elezioni che prevedono la nomina di 500 membri alla Camera dei Deputati, 15 dei 32 governatori, 30 delle 32 assemblee legislative statali e i sindaci e consiglieri di 1.500 e di 2.500 comuni messicani. Gli aventi diritto al voto sono circa 94 milioni, ma i numerosi conflitti esistenti su tutto il territorio messicano, la resistenza indigena e soprattutto la violenza della criminalità e del narcotraffico rendono incerta la percentuale di affluenza alle urne.

Sebbene il presidente Andrés Manuel López Obrador abbia sottolineato che il Paese "è in pace e tranquillità" di fronte alle elezioni di domenica e che non c'è rischio di "instabilità", gli incidenti e le violenze hanno continuato a verificarsi negli ultimi giorni della campagna elettorale.

Secondo i sondaggi della vigilia, il governativo Movimento di rigenerazione nazionale (Morena) è primo nelle intenzioni di voto, anche se si stima che dovrebbe perdere la maggioranza semplice di cui disponeva da due anni e mezzo, conquistando però la meta dei governatori degli Stati messicani. 

(Unioneonline/v.l.)

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