Soprattutto sembrano esserci collegamenti tra almeno uno di loro e un'importante famiglia palermitana, quella dei Pagliarelli del 'villaggio Rosalià, clan del latitante Giovanni Nicchi, ex braccio destro del boss Nino Rotolo. Una delle ipotesi investigative al vaglio della Squadra Mobile, che la scorsa notte ha eseguito gli arresti tra Milano e Palermo, è che "i soldi ricavati dalla vendita all'estero dei gioielli Damiani - ha detto il dirigente Francesco Messina - potessero servire per finanziare l'acquisto di ingenti partite di droga, non certo gestite dalla banda".

IN MANETTE. Dopo dieci mesi di indagini, coordinate dal sostituto procuratore Letizia Mannella e dal procuratore aggiunto Alberto Nobili, a finire nella rete di provvedimenti emessi dal gip Caterina Interlandi, sono stati Francesco e Salvatore Scaglione, rispettivamente di 48 e 44 anni, Michele Stagno, 49, Francesco Di Figlia, 52, Gaetano Sanzo, 45, Filippo Tiscione, 56, tutti originari di Palermo, Vittorio Tartaglia, 52 anni, di Melfi (Potenza), Francesco e Giuseppe Romeo, rispettivamente di 58 e 48 anni, i due catanesi. Molti (il solo Salvatore Scaglione è incensurato) hanno precedenti, alcuni dei quali per azioni condotte con il metodo della 'banda del bucò, lo stesso attuato per penetrare, da uno stabile vicino, nel palazzo dove si trova Casa Damiani e poi presentarsi con pettorine della GdF per compiere la rapina. Ha destato sorpresa, a Palermo, soprattutto l'arresto di Stagno, che ha delle esperienze come attore.

LE ACCUSE. Rapina aggravata per i nove che, il 24 febbraio scorso, si sono intyrodotti nel palazzo della maison Damiani. Il gruppo non conduceva una vita tale da attirare l'attenzione degli investigatori ma era ben inserito nel tessuto sociale di Milano e del suo hinterland, dove vivono molti degli arrestati, che gestiscono attività commerciali come bar e negozi (uno è, ironia della sorte, una gioielleria appena aperta), perquisiti all'alba. Una adeguata copertura per l'attività della banda che si sospetta potesse puntare presto ad un nuovo colpo. In un appartamento tra quelli perquisiti stamani, dove sono stati sequestrati contanti, due pistole giocattolo, c'erano anche dei gioielli ma niente di riconducibile a quelli del famoso marchio. Il bottino della rapina a Casa Damiani, con tutta probabilità è stato piazzato quasi subito, attraverso canali che, di solito, vengono attivati ancor prima di mettere a segno colpi del genere.

DAMIANI. "La notizia dell'arresto dei responsabili della rapina al nostro showroom è un'ottima notizia - ha commentato Guido Damiani, presidente e Ad della Damiani SpA -. E' un segnale importante e un deterrente per i malavitosi. Il nostro ringraziamento particolare va alle forze dell'ordine - ha detto ancora Damiani - che hanno sempre lavorato con grande attenzione e professionalità". Comunque tutta la merce, il cui valore esatto non è stato reso noto, era ampiamente coperta da assicurazione. Secondo quanto si è appreso in Questura "il valore alla produzione dei gioielli prelevati dai banditi si aggirerebbe sui 5 milioni di euro". Facile immaginare la cifra da capogiro al dettaglio.

LE INDAGINI. Le indagini sono partite dal presupposto che per realizzare la complicata rapina i banditi dovevano aver preparato il colpo da mesi e quindi dovevano aver lasciato dietro di sè una serie di indizi. Incrociando le immagini di alcune telecamere che nei giorni precedenti avevano ripreso i ripetuti movimenti di mezzi sospetti, gli investigatori hanno individuato una Golf nera e un furgone le cui targhe risultavano rubate. E' stato questo il primo elemento, sostenuto poi da intercettazioni e altre attività scientifiche che hanno portato a capire che la rapina era stata organizzata lungo l'asse Palermo-Milano. Per finire all'interno del cortile di uno sfasciacarrozze dell'estrema periferia sud del capoluogo lombardo, dove auto e furgone sono stati cannibalizzati. Una zona dove pullulano attività commerciali abusive, spesso gestite da ex malavitosi, e dove Cosa Nostra mantiene forti agganci. 

 

 

 
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