Italia nel conflitto russo-ucraino: in nome di chi?
Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin: chi “resiste” è davvero migliore di chi “insiste”?
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Vorrei dirvelo così. Vennero dal re Salomone, noto per la sua saggezza, due prostitute, e si presentarono davanti a lui. Una delle due donne, rivolgendosi al re, disse: “O mio signore, questa donna ed io abitiamo nella stessa casa; io partorii quando essa era in casa. Tre giorni dopo che io avevo partorito, partorì anche questa donna; e non c’era alcun altro in casa all’infuori di noi due. Il figlio di questa donna morì durante la notte, perché ella gli si era coricata sopra. Ella allora si alzò nel cuore della notte, prese mio figlio dal mio fianco, mentre la tua serva dormiva, e se lo pose in seno, e sul mio seno pose il suo figlio morto. Quando al mattino mi alzai per allattare mio figlio, trovai che era morto; quando però lo esaminai attentamente al mattino, vidi che non era il figlio che io avevo partorito”. Allora l’altra donna disse: “Non è vero; mio figlio è quello vivo, e il tuo è quello morto”. Ma la prima insistette: “Non è vero; tuo figlio è quello morto e il mio quello vivo”. Il re allora comandò: “portatemi una spada”. E così fu, portarono una spada davanti al re, e questi ordinò: “Dividete il bambino vivo in due parti e datene metà all’una e metà all’altra”. Allora la donna del bambino vivo, che amava teneramente suo figlio, disse al re: “Deh Signor mio, date a lei il bambino vivo, ma non uccidetelo”. L’altra invece insisteva: “Non sia né mio né tuo ma dividetelo”. Allora il re, rispondendo disse: “Date alla prima il bambino vivo e non uccidetelo, perché è lei la vera madre del bambino”.
Ebbene, mutatis mutandis, e trasponendo i contenuti della narrazione per adattarli alle circostanze contingenti chi, tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, sarebbe la “vera madre”? Sarebbero entrambi “vere madri”, disposte a sacrificare le proprie ragioni ed il proprio orgoglio pur di preservare la vita dei propri figli (connazionali), oppure sono solo “due matrigne” in preda al loro egoismo prevaricatore ed al protagonismo mediatico siccome entrambe disposte ad accettare il prezzo della distruzione e della morte pur di non soccombere agli occhi del mondo?
Al di là delle ragioni e dei torti, al di là di ogni considerazione sui ruoli e sulla terminologia stereotipata che si limita ad individuare un “aggressore” ed un “aggredito” (pur esistenti si badi bene), chi “resiste” sollecitando l’intervento diretto ed armato di Paesi terzi nella consapevolezza non solo della propria inferiorità, ma anche del rischio, evidentemente accettato, di un terzo conflitto mondiale che porterebbe alla distruzione di massa, è davvero migliore di chi “insiste”?
È giusto che il resto del mondo, Italia compresa, al di là dei doverosi e necessitati sostegni umanitari, si limiti a prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro senza assumere una posizione di neutralità e senza intervenire fattivamente quale promotore di dialogo e di pace tra due popoli in contesa? Che senso ha, da parte di Joe Biden, declinare pubblicamente e chiaramente la richiesta del presidente ucraino di istituire una “no-fly zone”, se siffatta “declinazione” appare poi di fatto smentita dagli enormi, ed irresponsabili a mio modesto avviso, incentivi finanziari miranti ad incrementare le forniture di armamenti?
È responsabile l’atteggiamento dello Stato Italiano che, di fronte alle perduranti difficoltà economiche del suo popolo, sconfitto e mortificato da due anni di emergenza pandemica, ha voluto incrementare, portandola fino a tredici miliardi di euro, la spesa militare in conseguenza del conflitto russo e già pensa ad ulteriori incrementi contribuendo anche ad armare il braccio del popolo ucraino per dar modo allo stesso, almeno così ci raccontano, di difendersi in nome della conservazione dei principi democratici?
Intendiamoci: non sembra esistere una risposta chiara e/o univoca, e certamente, considerato l’evolversi degli eventi, quella risposta, purtroppo, non accenna ad arrivare da un giorno all’altro malgrado lo stato di bisogno in cui ci troviamo a versare. Intanto, perché la garanzia di una pace duratura non può che passare, per quanto possibile, e viceversa, che da una graduale eliminazione di quella che finora è stata una irrinunciabile fonte di lucro, ossia la produzione e la vendita di armamenti. Quindi, perché ai sensi dell’articolo 11 della nostra Costituzione, l’Italia dovrebbe (il condizionale è d’obbligo nella attuale situazione) “ripudia (re) la guerra” non solo come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: per cui se, per un verso, sarebbe da condividere il biasimo per l’azione militare russa, per l’altro verso sarebbe parimenti da condannare, a mio avviso, l’invio di armi al popolo ucraino sia pure in funzione difensiva.
Inoltre perché non si può, al giorno d’oggi, abbracciare un’impostazione teorica anacronistica ed estemporanea, che si credeva definitivamente sopita, quale quella per cui “la guerra” altro non sarebbe se non “la continuazione della politica con altri mezzi” (cit. Clausewitz) siccome, siffatta affermazione si tradurrebbe, necessariamente, nella acclarata constatazione di un fallimento perché giammai “il fine” può sempre e comunque “giustificare i mezzi”.
Infine, e non meno importante, perché diversamente da quanto sembrerebbe ritenere il governo italiano, che pare, invero, voler nascondere le proprie incapacità interventistiche nascondendosi dietro la nuova emergenza bellica, gli effetti della guerra in Ucraina, che nessun italiano pare voler combattere, neppure da lontano, si stanno pesantemente riverberando sulle famiglie italiane già frustrate dagli effetti economici e sanitari della emergenza sanitaria.
Diciamolo altrimenti. Volodymyr Zelensky, nel crescendo dei suoi interventi mediatici, sembra voler ostinatamente ritenere, ed in ciò evidentemente errando, che una potenziale adesione alla Nato possa costituire ragione necessaria e sufficiente per favorirne lo schieramento in danno non solo della popolazione russofona presente in Ucraina, ma anche, e soprattutto, contro la Russia. Ma se si accetta la narrazione che individua in Vladimir Putin un autocrate senza scrupoli, certamente non può negarsi che Volodymyr Zelensky, da buon “parvenu” della politica in cerca di riscatto, espressione di un arcaico populismo di ritorno, sia probabilmente la figura meno idonea a contrastarne l’avanzata.
Il pericolo è in continuo divenire perché il Cremlino, allo stato, ed in assenza di segnali di distensione da parte dell’Occidente, potrebbe risolversi nel senso di adottare una tattica strategica ancora più intensa all’insegna del “tutto per tutto”.
A chi giova? In nome di chi o cosa ci preoccupiamo di schierarci sia pure restando, apparentemente, “dietro le quinte”? Cosa c’è di eroico nella guerra e nella morte che giustifichi cotanta distruzione? “Beato quel Popolo che non ha bisogno di Eroi”.
E di certo l’Occidente, se non ha bisogno dell’autocrazia di Vladimir Putin, a maggior ragione non ha bisogno dell’eroicità di Volodymyr Zelensky dal quale non pare doversi accettare alcuna lezione di “democrazia”.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro