Non facciamo in tempo a gioire per il buon andamento della trattativa in seno all’Eurogruppo che subito arriva la secchiata di acqua fredda a riportarci coi piedi per terra. Ebbene si: la Corte Costituzionale Tedesca, in totale dispregio di altra precedente decisione da parte della Corte di Giustizia Europea, considerata ingiustamente “ultra vires”, si è pronunciata sul programma di acquisto di titoli di Stato avviato dalla Bce nell’anno 2015, affermando, per un verso, la legittimità del c.d. “quantitative easing” (ossia “alleggerimento quantitativo”, attraverso cui la Banca Centrale, in ossequio ad una politica monetaria ultra espansiva, interviene sul sistema finanziario ed economico di uno Stato per aumentare la circolazione di liquidità) e, per altro verso, e tuttavia, (affermando) la violazione, anche se solo in parte, della Costituzione Tedesca, siccome il governo tedesco e il Bundestag “non (avrebbero) esaminato le decisioni della Bce”. E se, da una parte, il Ministro Gualtieri si affretta a sostenere che siffatta “sentenza della Corte Costituzionale Tedesca non (dovrebbe avere) conseguenze (né) sul piano di acquisto di titoli di Stato” né sulle “misure di politica monetaria assunte dalla Bce per far fronte all’emergenza Covid”, dall’altra, non manca chi, invece, come il Presidente Berlusconi, non esita a manifestare la propria preoccupazione affermando che proprio quella sentenza “potrebbe (ben) mettere in discussione anche l’intervento della Bce a sostegno dei Titoli di Stato italiani”.

Posto che, la pronuncia della Corte Costituzionale Tedesca dovrebbe essere valutata sempre con cauta prudenza, e posto che l’unica cosa certa sembrerebbe essere, allo stato attuale, il macabro tempismo degli stessi tedeschi, è oltremodo spontaneo domandarsi quali conseguenze scaturiranno, se scaturiranno, da siffatta sentenza. Questa decisione, che appare come una vera e propria rinnovata affermazione di sovranismo costituzionale tedesco, come molti amano definirlo, è un segnale preoccupante idoneo a provocare una pericolosa e brusca battuta d’arresto del difficile processo di integrazione europea, o rappresenta, invece, un innocuo falso allarme? Questa che appare, stando alle dichiarazioni di Clemens Fuest, come una vera e propria “dichiarazione di guerra”, uno scontro aperto tra la Germania e le istituzioni europee, quali finalità nasconde? Vi è davvero il pericolo di una “germanizzazione” dell’Europa, come aveva intuito, anni addietro, la acuta Premier Britannica Margaret Thatcher, oppure, in realtà, nonostante questa antipatica pronuncia, la Germania intende ancora credere nel progetto europeo e nel conseguente impegno comune finalizzato al perseguimento del migliore interesse dell’intera compagine geopolitica? Interpretare l’accaduto è meno semplice di quel che potrebbe sembrare, soprattutto allorquando si vogliano tenere bene a mente le parole del compianto ed indimenticato Statista Italiano Giulio Andreotti, secondo cui “qualche volta nella politica nazionale e internazionale si sbaglia perché si perde di vista il fatto che il buon senso è ciò che dovrebbe guidare l’azione”, mentre invece, “si vanno a cercare formule e motivazioni complesse, anche se dotte, perdendo di vista la linea centrale di quella via di sviluppo che si vuole percorrere”.

Ed è proprio quanto pare essere accaduto nel caso che ci occupa. Intanto, perché, checché se ne dica, a mio umilissimo, e forse banale, modo di considerare, la circostanza che proprio un Paese Fondatore dell’attuale UE, quale la Germania appunto, voglia ribellarsi al principio cardine ed assoluto del Primato del Diritto Europeo rispetto ai diritti nazionali dei singoli Stati Membri, cui peraltro sono soggette le stesse costituzioni nazionali per espressa affermazione della Corte di Giustizia, non solo tradisce l’esigenza, più che evidente, di poter scegliere autonomamente, sulla base delle proprie convenienze, quando le decisioni europee possano prevalere o meno sul diritto interno, ma anche di voler incidere, in piena controtendenza rispetto a quanti ne sognano una rivisitazione in senso solidale, sul processo di cambiamento del sistema di funzionamento dell’UE medesima facendo pesare la propria “centralità” non solo geografica, ma anche e soprattutto economica. Quindi, perché, alla luce di siffatta riflessione, la sentenza della Corte Costituzionale Tedesca del 5 maggio ultimo scorso, sembra avere più che altro un preciso significato politico riconducibile, con buona verosimiglianza, all’esigenza di rafforzare, e riaffermare, laddove ve ne fosse bisogno, e con ancora maggiore determinazione, la leadership della Germania all’interno dell’Unione proprio in un momento in cui quest’ultima risulta gravemente indebolita in conseguenza dell’emergenza pandemica. Infine, perché, così facendo, ossia mettendo in discussione la validità delle Istituzioni Europee, la Germania, rischia non solo di travolgere il già complesso processo di integrazione, ma anche di compromettere definitivamente la possibilità di addivenire ad un approccio federalista per la risoluzione di problemi comuni. Quale futuro allora per l’Europa? E quale futuro allora per la Germania all’interno dell’Unione ove il costante richiamo all’esigenza di una politica condivisa e solidale ha costituito da sempre il suo principale filo conduttore? A me, sinceramente, pare che lo scenario prossimo futuro potrebbe non essere troppo rassicurante se continuerà a prevalere nei tedeschi quel subdolo sentimento di mortificazione della propria rigida ma florida politica economica all’evidenza impraticabile, allo stato attuale, dagli altri Paesi meno fortunati dell’Europa del Sud. La “solidarietà” incondizionata continua ad essere l’unico vero imperativo morale.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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